La classe operaia dimenticata: o l’Italia fa il salto o perderà la sua politica industriale
- Postato il 4 dicembre 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 5 Visualizzazioni
La cronaca giornaliera è percorsa dalle manifestazioni degli operai ILVA di Genova e Taranto, da diffuse vertenze sull’occupazione in molte parti del Paese, ma l’opinione pubblica ne è colpevolmente distratta. Quella che era una volta una componente centrale della nostra società – la classe operaia – sembra svanire nelle preoccupazioni di una società in affanno e pericolosamente trascinata sul crinale irresponsabile di un riarmo in previsione di una guerra.
Diversamente da quanto abitualmente trattato su questo blog, questa volta vorrei porre all’attenzione dei commenti dei lettori la venuta meno di una politica industriale in un Paese manifatturiero come il nostro, spinto da un governo imprevidente ad occuparsi della notizia dell’oggi che spinge via quella di ieri, senza che ci si ponga in una dimensione di futuro desiderabile. Come è possibile, mi chiedo, che decine di milioni di lavoratrici e lavoratori si rechino in fabbrica, in ufficio, nei capannoni della logistica o dei supermercati, a scuola o nei campi coltivati, con salari inadeguati e senza più un’idea di affrancamento sociale, di riconoscimento di ruolo di “liberazione” di un lavoro che occupa un’intera porzione della propria vita?
Gli scioperi generali e le manifestazioni che le organizzazioni sindacali stanno organizzando in questi giorni avranno pure a riferimento un obbiettivo per l’intera classe politica italiana che riguardi le condizioni non solo materiali, ma la sicurezza e la sensazione di essere utili alla società con una prestazione lavoro che liberi energie, anziché esporre a frustrazioni e precarietà?
Questa fine d’anno percorsa da vertenze bistrattate serva allora a riflettere sulla crisi dell’attuale sviluppo italiano, incapace di cogliere nelle emergenze e nella crisi di questo cambio d’epoca uno spazio di rilancio di solidarietà che non può che fare riferimento ad una componente sociale che sacrifica ogni giorno energie non solo per se stessa.
Come non riflettere sulla crisi climatica e sull’inadempienza delle classi politiche nazionali e globali che continuano a riprodurre il modello industriale dei fossili e non colgono nella transizione energetica verso le rinnovabili una chiave anche di un riscatto del senso del lavoro? Cosa ha da dire Pichetto Fratin su un orizzonte nucleare da lui auspicato, ma tutt’altro che praticabile, privo di indipendenza energetica per il Paese, quando molte delle crisi in corso potrebbero avere uno sbocco in una politica industriale che veda nel vento, nel sole, nelle batterie e nei pompaggi la soluzione anche occupazionale per le nuove generazioni? Cosa significa per l’attuale politica la vertenza pluriennale dell’ex-GKN o dell’eolico offshore a Civitavecchia o il taglio dei finanziamenti alle comunità energetiche, colpevolmente ritardati a danno non solo dell’occupazione e dell’ambiente locale?
Non ho dubbi sul fatto che possiamo uscire dalla stretta attuale rimettendo mano – come accennavo – alla politica industriale nazionale e ad una mobilitazione positiva del mondo del lavoro. Proprio ciò che intendono fare i rappresentanti sindacali che sanno bene quanto costi scioperare per un futuro che è tutt’altro che a disposizione in un oggi così spiazzante, eppure da perseguire con un’urgenza e un’attesa praticabili.
Non sarebbe male se un salto di prospettiva fosse chiesto ad un governo che rimuove le emergenze con conseguenze inquietanti per le nuove generazioni che hanno il diritto di sperare. E’ proprio una prospettiva nuova in cui collocare il mondo del lavoro in pace e non in guerra che può costituire un salto nella dimensione politica e sociale cui il Paese è chiamato. Ed allora, anche una politica industriale ed energetica che incoraggi il mondo del lavoro – e non solo – in una direzione coraggiosa e riconoscibile potrebbe rimuover tutte le pigrizie che fanno del periodo attuale uno dei più insidiosi di questo inizio secolo.
L'articolo La classe operaia dimenticata: o l’Italia fa il salto o perderà la sua politica industriale proviene da Il Fatto Quotidiano.