Io, ragazzina a cavallo degli anni 80-90, col mito di Giorgio Armani

  • Postato il 5 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il Re della moda, come molti erano soliti definirlo, ci ha lasciato a novantuno anni poco prima di celebrare il mezzo secolo di vita del suo storico marchio, uno dei pochi che ha sempre portato il suo nome e la sua effettiva gestione senza passare in mani straniere come è accaduto per molte altre celeberrime case di moda italiane. Ma Giorgio Armani è stato molto di più che il simbolo della creatività del made in Italy nel mondo, per molti di noi è stato un riferimento costante, uno stile inconfondibile per distinguersi nelle occasioni più importanti come nella vita di tutti i giorni.

Chi, come la sottoscritta, è stata adolescente e giovane adulta a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, prova un senso di nostalgia e gratitudine verso questo Signore dalla chioma canuta e lucente e dal volto sempre abbronzato perché possedere un suo capo era molto di più che possedere un oggetto, un’icona o uno status symbol, era un modo per esserci e incarnare lo spirito dei tempi.

Metà degli anni Ottanta, frequentavo il liceo classico “Omero” di Bruzzano alla periferia di Milano, quello, per intenderci, in cui insegnavano professori del calibro del grecista e latinista Ezio Savino e da cui sono usciti studenti famosi come Alfonso Signorini e Alberto Rollo ed era scoppiata la moda dei “paninari”, quel fenomeno di costume spesso bistrattato verso il quale però sentiamo segretamente tutti un po’ di nostalgia per la leggerezza e la spensieratezza tipica di un periodo che si era lasciato alle spalle anni di lotte studentesche e movimenti politicizzati.

I paninari sfoggiavano un abbigliamento griffato perlopiù di importazione con i tipici piumini colorati e le Timberland ai piedi ma guai a rinunciare a quei pantaloni con il risvoltino che spopolavano per il loro taglio che esaltava sia la figura femminile che quella maschile senza essere troppo attillati né troppo oversize: i jeans di Armani che presto avrebbero creato orde di ragazzi, e non solo, di tutte le età che da Milano al resto di Italia si precipitavano negli omonimi Empori per accaparrarsene almeno un paio.

Inizio anni Novanta, in vacanza avevo conosciuto un ragazzo che mi piaceva moltissimo anche se era più piccolo di me e avevamo deciso di rivederci a Milano. Quando si è presentato all’appuntamento davanti al teatro San Babila era irriconoscibile, la t-shirt aderente e i bermuda avevano lasciato il posto a una giacca dal taglio sartoriale che probabilmente gli serviva per sembrare un po’ più “vecchio” e la prima cosa che mi ha chiesto è stata: “Come sto? Ti piace? È di Armani”.

Come di Armani era la giacca sciancrata e senza colletto che mia madre, che ora non c’è più, mi aveva regalato per uno dei miei compleanni, simile a quella che Julia Roberts indossava orgogliosa nel film Pretty Woman dopo aver fatto shopping in Rodeo Drive e sbeffeggiato le acide commesse che l’avevano maltratta quando la prima volta si era presentata in minigonna e tacchi a spillo. O il pantalone che all’inizio del nuovo millennio io e le mie amiche dovevamo assolutamente avere nel nostro guardaroba, quel capo a gamba larga con la cerniera sul fianco dal colore indefinito a metà fra il beige e il grigio, il “greige” che stava bene con tutto e ti faceva sentire raffinata ed elegante in qualsiasi occasione.

La lista potrebbe continuare all’infinito con i ricordi e i completi di Re Giorgio indossati durante le ospitate televisive nelle decadi degli anni Duemila e quella festa con le mie amiche abbigliate a tema Sex and the city” – per la cronaca io ero Carrie – scatenate sulla pista dell’Armani Privè grazie agli inviti recuperati all’ultimo minuto per merito del suo solerte ufficio stampa ma sono sicura che nella vita di molti di noi ci sono momenti legati alla figura di quello che è stato molto più di uno stilista perché la sua arte, il suo talento e la sua creatività hanno scandito lo scorrere dei decenni e l’evolversi del costume e della società forse meglio di chiunque altro.

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Il Fatto Quotidiano

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