Dobbiamo smettere di sottovalutare il crollo della salute mentale nei più giovani

  • Postato il 4 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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di Luigi Gallo e Francesca Scafuto*

In un tempo di incertezze, guerre, crisi climatica e sfaldamento del senso di comunità e alienazione dalla natura (Chalquist, 2009), non c’è da meravigliarsi che i primi a soffrirne siano i bambini e i giovani. L’adolescenza è un periodo unico della nostra vita, pieno di trasformazioni, con caratteristiche peculiari che rendono ragazzi e ragazze più a rischio.

Negli ultimi anni, si assiste ad una riduzione vertiginosa degli indici di salute mentale: a livello globale, uno su sette adolescenti tra i 10 e i 19 anni soffre di un disturbo psicologico diagnosticato (Herbst, 2024). In Italia, alcuni studi dell’autrice hanno rivelato che la dipendenza da Internet e dai social, incrementata dopo la pandemia, ha poi aumentato – anziché ridurlo – l’isolamento, correlandolo alla bassa autostima, alla depressione e all’ansia (Ciacchini et al., 2023; Scafuto et al., 2023).

È chiaro che l’intera responsabilità di tutto questo ricade su noi adulti, per il nostro esempio malsano di gestire il tempo, per la società che abbiamo contribuito a disegnare o alla quale ci siamo opposti senza troppa convinzione e impegno o senza una proporzionata azione collettiva. Quando parliamo dei giovani, spesso lo facciamo caricandoli di responsabilità (“leve del cambiamento” o ”sono il nostro futuro”), non considerando che hanno pochi strumenti e occasioni reali per poter esprimere il loro potere, al di là dei mondi virtuali.

Ci sono tuttavia delle scelte radicali che i ragazzi stanno già realizzando considerando che la seconda causa di morte tra i giovanissimi, dopo gli incidenti stradali, è proprio il suicidio.

Le loro relazioni, come le nostre, sono sempre più parcellizzate, precarie, disattente, discontinue e frammentate. Sembra che non tocchiamo più nulla in profondità. I giovani, più di noi, non hanno modo e tempo per avere cura delle emozioni, per testarle, sbagliare e imparare nella vita reale, assorbiti sempre di più da regole, codici e linguaggi del digitale.

La concentrazione, la consapevolezza, l’autoriflessione diventano le funzioni da attivare nell’epoca delle distrazioni costanti, in cui tutti sembriamo soffrire di ADHD, con famiglie sempre più impegnate: genitori che lavorano tutto il giorno e figli alle prese con mille corsi e attività. Quanto c’è bisogno di ritornare a guardarsi negli occhi, di un contatto corporeo autentico, una sensibilità al tono di voce, quanto è doveroso affrontare la potenza delle emozioni, anche quelle spiacevoli, per litigare in real time senza rifugio o procrastinazione digitale.

Le città, la società e la scuola ci isolano dalla natura, rendendoci analfabeti biologici, mentre i genitori o l’adulto di riferimento ci vieta qualsiasi esperienza significativa nel reale: arrampicarsi, saltare sulle pietre del fiume, buttarsi in un lago, nuotare senza supervisione, andare in bici in strada. Così i ragazzi diventano prigionieri nella realtà e abbandonati e liberi nel mondo digitale.

Non è un caso che la metà dei giovani tra i 18 e i 34 anni (48%) ha riferito di sentirsi stressata e di avere eco-ansia a causa del cambiamento climatico nella propria vita quotidiana (American Psychological Association, 2020): una minaccia alla salute globale e alla salute mentale.

Cosa fare a fronte di tale epidemia di malessere psicologico globale che sembra connesso al malessere del pianeta?

Non risponderemo a questa domanda in un solo articolo, ma possiamo dire che c’è una forte sottovalutazione del problema. Quando c’è un malessere fisico, una frattura ossea ad esempio, lo stato invalidante è evidente, così come il dolore e la necessità di intervenire. Quando invece la malattia o le ferite sono psichiche, ancora purtroppo tendiamo a sminuire e pensare che basti poco, una pacca sulla spalla, basta volerlo, per poter superare un disagio. Senza intervenire, la sofferenza psichica rischia di propagarsi in altre sfere della vita e delle relazioni.

La spesa per la salute mentale in Italia rappresenta appena il 3% di un Fondo Sanitario sempre più debole a fronte del 15-20% speso da altri paesi europei. Dedicheremo, probabilmente, al riarmo il 5% del nostro Pil, mentre basterebbe dedicare all’assistenza psicologica lo 0,1% dello stesso Pil per sostenere il piano di cui si avrebbe necessità. A voi le conclusioni.

*Phd Health and Community Psychology, Psychotherapist of adolescents and young adults, Fellow researcher at University of Udine- DILL and Lecturer at University of Pisa

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