A Milano al fianco di Sala. E del ‘Modello Roma’ cosa pensa Schlein?

  • Postato il 6 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il dibattito sulle vicende urbanistiche milanesi si è subito focalizzato sulla dimensione giudiziaria, e in particolare sulla figura di Sala, come se fossero importanti solo i comportamenti individuali penalmente rilevanti, e non le politiche nel governo del territorio messe in atto dalla Giunta e dalla maggioranza di centro sinistra. Ma il punto è capire se le regole, che sono una garanzia dell’interesse generale (della qualità della vita dei cittadini, della tutela dell’ambiente e del paesaggio) siano state rispettate.

La risposta è facilmente deducibile dalla vicenda del cosiddetto “Salva Milano”, che resta un macigno che non si può ignorare. Perché se davvero fosse stato tutto normale, tutto regolare, nessuno si sarebbe dato da fare per fare approvare disegni di legge che cancellavano decenni di conquiste urbanistiche.

Provvedimenti cuciti su misura – a quanto pare con il contributo alla stesura da parte di alcuni degli indagati – che avrebbero avallato le sciagurate scelte milanesi e affossato la pianificazione urbanistica di tutto il Paese, generalizzando la pratica di costruire palazzi di 25 piani dove c’erano palazzine di 2 piani con una semplice SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività, un’autocertificazione che si utilizza per interventi edilizi poco impegnativi e impattanti), ignorando le norme che prevedono che l’amministrazione pubblica predisponga preventivamente un piano – la regia pubblica – e che il privato versi i dovuti contributi economici per dotare la collettività dei servizi pubblici proporzionati all’incremento di abitanti/utenti della zona.

Una interpretazione distorta della “rigenerazione urbana”, slogan abusato per giustificare il mero “rinnovamento edilizio” di edifici nei luoghi più centrali e redditizi dal punto di vista immobiliare, che non ha niente a che fare con quella rigenerazione autentica, urbanistica e sociale, che dovrebbe essere al centro delle politiche di un Partito che ha una storia di battaglie anche urbanistiche per i diritti dei cittadini, dei lavoratori e delle classi più povere.

Una storia che c’entra ben poco con la linea seguita dal sindaco di Milano, che è frutto di una mutazione genetica che ha da tempo subìto il Partito nei vari passaggi da PCI a PDS e a PD.

Un progressivo allineamento, avvenuto soprattutto nelle sedi comunali e regionali, con una “modernità” neoliberista, che mette al primo posto gli investimenti, gli interessi delle categorie cosiddette “produttive” grandi e piccole, gli interventi che portano consenso elettorale di chi ne è favorito rispetto a quelli che rispondono ai bisogni dei cittadini, soprattutto quelli delle zone più svantaggiate. Con il sempiterno refrain della carenza di risorse pubbliche e della necessità di ricorrere a formule pubblico-private che, con la diabolica giustificazione del raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario, finiscono per essere in gran parte destinate al profitto privato, lasciando all’interesse pubblico briciole e promesse di posti di lavoro mai verificati a posteriori.

E questo appare macroscopicamente nel governo del territorio, dove gli appetiti dei tradizionali costruttori si sommano a quelli dei nuovi fondi di investimento internazionali, trasformando l’urbanistica, visione generale della città di tutti, in mera edilizia, operazione immobiliare dei singoli proprietari.

Ed è su questa strada, con qualche eccezione, anche il sindaco della Capitale Gualtieri. A fronte di alcune iniziative sicuramente virtuose, anche grazie ai fondi del Pnrr, come gli interventi a Tor Bella Monaca e a Corviale, e numerose altre opere che alcune periferie attendevano da anni, la linea politica prevalente della giunta romana sembra essere quella dell’attrattività degli investimenti immobiliari, con scarsa attenzione alle ragioni dei cittadini sulle quali sono calate – dall’alto – le scelte.

Un “Modello Roma” che in molti casi si è avvalso dei poteri speciali concessi per il Giubileo 2025 (anche per interventi che sopravanzano di anni la fine dell’evento giubilare), che il sindaco Commissario Gualtieri rivendica come successo, ritenendolo la giusta base della riforma in fieri per i poteri di Roma Capitale. Un modello di governo del territorio più sensibile al mattone e al turismo che a una pianificazione pubblica al servizio dei cittadini. Molti sono gli esempi che l’Associazione Carteinregola ha segnalato in questi anni, dalla variante crocieristica privata per il Porto turistico di Fiumicino, ai progetti per lo Stadio di Pietralata e per lo Stadio Flaminio, al termovalorizzatore. E le modifiche alle Norme tecniche del Piano regolatore: resta impressa nella memoria quella infelice presentazione in Campidoglio nella quale, oltre alle istituzioni coinvolte, è stata data la parola solo ai rappresentanti dei costruttori.

In queste situazioni la segretaria Schlein non ha preso posizione. Rispetto alla vicenda di Milano, ha dichiarato di avere fiducia nella magistratura, ma che “il Pd è al fianco del sindaco Sala”, mentre sulle controverse scelte romane non si è finora espressa.

Comprendiamo le difficoltà a guidare un Partito Democratico quantomeno “duale”: da una parte gli elettori Pd – compresi quelli che in passato, delusi, hanno disertato le urne o scelto altri partiti – che l’hanno votata alle primarie allargate, dall’altra gli iscritti e gli organismi locali e regionali, dirigenti e amministratori pubblici, che in maggioranza hanno votato il suo avversario alle primarie interne. I primi hanno scelto una segretaria che prometteva un cambiamento radicale, riportando il partito sui binari della tradizione di centro sinistra; la maggior parte dei secondi è invece attestata sulla continuità con quella “modernità” basata sulla legge del mercato e sugli investimenti privati di cui abbiamo visto i risultati a Milano e non solo.

Una contraddizione che si ripropone quotidianamente a chi ha promesso un cambiamento agli elettori, ma deve continuamente fare i conti con il sabotaggio delle correnti, dei cacicchi, degli scambi. Il recentissimo annunciato compromesso campano – presidente regionale di coalizione con i Cinquestelle in cambio di un segretario regionale figlio del potente presidente uscente – è il più macroscopico segnale d’allarme della deriva in cui rischia di impantanarsi Elly Schlein se non si affranca da quella trattativa continua in cui rischia di scontentare tutti.

Ed è il cambiamento l’unica possibilità, non solo per Elly Schlein, ma per il futuro dello stesso Partito Democratico. Avere il coraggio di portare avanti il progetto di un partito rinnovato, nel confronto con tutte le anime del partito, ma avviando un grande dibattito che si allarghi alla società civile, su quale linea il Pd intenda perseguire nella società, nelle regioni e nelle città. Senza difese d’ufficio delle scelte degli amministratori, quando sono in evidente contrasto con la visione del nuovo progetto. A partire da Roma e Milano: città di tutti, città pubbliche, città delle persone, o città del profitto e della rendita, città privatizzate, città a pagamento?

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Il Fatto Quotidiano

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