La famiglia Elkann-Agnelli vende Iveco e nemmeno un euro ne verrà al paese

  • Postato il 1 agosto 2025
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La famiglia Elkann-Agnelli ha ricavato ben 5,5 miliardi dalla completa cessione del gruppo Iveco. Sono tutti soldi che finiscono all’estero, perché la finanziaria di famiglia Exor, che incassa tutto, ha sede legale e fiscale in Olanda dal 2016. È questo l’ultimo (per ora) affare della famiglia Agnelli a danno del paese.

Il gruppo industriale Iveco era nato negli anni 70, quando la Fiat era ancora una potenza industriale, prima che la proprietà decidesse di passare alla finanza, continuando a fingere altro grazie al controllo e alla complicità dei media e del sistema politico. Così un poco alla volta tutto quello che era un patrimonio del paese è stato ceduto a multinazionali estere, che avevano tutto l’interesse ad acquisire brevetti e tecnologia e a trasferire e chiudere le attività. La produzione del treno Pendolino, quella dei grandi macchinari industriali, la componentistica, l’elettronica le telecomunicazioni sono state vendute e poi sempre più ridimensionate.

Parallelamente allo smantellamento dell’IRI c’è stato quello del gruppo Fiat, sostenuti con le stesse argomentazioni: si doveva adeguare al mercato, alla modernità e al progresso. Il tutto con le stesse conseguenze: il degrado e lo smantellamento del sistema industriale del paese. Solo una era la differenza: mentre le perdite erano di tutti, la famiglia Agnelli maturava sempre nuovi guadagni. Nell’epoca della flessibilità, la rigidità dei profitti di casa Agnelli è sempre stata la costante.

Anche la produzione delle auto è stata venduta ad una multinazionale estera, Stellantis. Questo del resto era lo scopo principale di Sergio Marchionne: rendere presentabile il gruppo Fiat in modo da poterlo vendere bene, per la proprietà naturalmente.

Il ricatto ai lavoratori, rinunciate al contratto nazionale sennò delocalizziamo la produzione, serviva solo a garantire profitti in attesa della ricollocazione del gruppo sul mercato. La colossale messa in scena del piano Fabbrica Italia, con il quale Marchionne promise 20 miliardi di investimenti nell’auto, servì solo a mostrare la dabbenaggine e il servilismo del sistema mediatico e politico. Che esaltò un programma di investimenti di cui non venne realizzato neppure un centesimo.

Ora tocca al veicolo industriale, che era stato presentato come una eccellenza produttiva che sarebbe rimasta al nostro paese, per compensarlo del disastro dell’auto. Era ancora fumo per chi non voleva vedere.

Il gruppo Tata, che ha acquistato la produzione e civile di Iveco, ha gli stessi interessi e obiettivi che aveva il gruppo Arcelor Mittal per l’Ilva. Finirà per acquisire conoscenze, marchi e mercati, e poi lasciar morire produzioni concorrenti alle proprie. E le chiacchiere del ministro Urso, che garantisce un grande futuro per le fabbriche italiane di camion, hanno lo stesso valore di quelle che fece a suo tempo Calenda per l’acciaio. Cambiano i governi ma non la loro obbedienza verso i ricchi ed i potenti.

Una menzione a parte merita poi l’acquisizione dello stabilimento di veicoli militari di Bolzano da parte di Leonardo. Il gruppo controllato dallo stato ha pagato ben 1,7 miliardi alla famiglia Agnelli, per un’azienda che ne fattura meno della metà in un anno: quasi 25 anni di profitti anticipati. Un prezzo che meriterebbe una spiegazione in Parlamento e che dimostra che i soldi si trovano e si buttano solo per gli affari militari. Tutti i costi economici e sociali dell’affare Iveco li pagheranno i lavoratori ed i cittadini italiani, tutti i colossali guadagni andranno invece alla famiglia off shore Elkann-Agnelli. Non un euro ne verrà al paese.

È il capitalismo italiano, dominato da una classe imprenditoriale rispetto alle quali i baroni delle campagne di un secolo fa sembrano virtuosi e socialmente responsabili. Grazie alla complicità e al servilismo di politici e governanti, l’Italia è un paese saccheggiato da una razza predona.

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Il Fatto Quotidiano

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