L’attacco israeliano contro la prigione di Evin va indagato come crimine di guerra

  • Postato il 28 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Stanno sganciando bombe su di noi. Alcune persone sono ferite, le finestre sono in frantumi, siamo tutti sparpagliati … Adesso hanno colpito ancora. Non so, a me pare una cosa intenzionale. Ma bombardare una prigione è una cosa priva di logica e incompatibile con ogni codice di condotta. Loro [le autorità della prigione] hanno chiuso la porta e non abbiamo alcuna notizia”.

Sono le parole dette, in una concitata telefonata ai familiari, dal dissidente politico iraniano Mohammad Mourizad, dall’interno della sezione 8 della prigione di Evin, a Teheran. È solo una delle molteplici fonti – tra cui immagini satellitari, foto e video validati e testimonianze dall’esterno e dall’interno del centro penitenziario – che hanno portato Amnesty International a concludere che l’attacco intenzionale, portato a termine a più riprese il 23 giugno da Israele contro la prigione di Evin, abbia costituito una grave violazione del diritto internazionale umanitario e debba essere indagato come crimine di guerra.

Ai sensi delle norme che regolano lo svolgimento dei conflitti, una prigione o un luogo di detenzione sono considerati obiettivi civili. Non è emersa alcuna credibile prova che la prigione di Evin costituisse un legittimo obiettivo militare. Gli attacchi, avvenuti in un giorno lavorativo e in un orario in cui buona parte del carcere era piena di civili – tra cui familiari in visita ai prigionieri – hanno ucciso o ferito decine di civili e causato gravi danni e distruzioni in almeno sei zone del complesso penitenziario.

Ore dopo, l’esercito israeliano ha confermato gli attacchi e alti funzionari israeliani se ne sono compiaciuti sulle piattaforme social.

Ad esempio, il ministro degli Affari esteri Gideoon Sa’ar ha scritto su X: “Avevamo ammonito l’Iran più volte: non attaccate i civili. Hanno continuato, anche stamattina. La nostra risposta: Donna, Vita Libertà”. Il post era accompagnato da un video, asseritamente proveniente da una telecamera a circuito chiuso della prigione, che ne mostrava l’ingresso saltato in aria. Analizzando il video, Amnesty International ha verificato che le immagini erano state manipolate digitalmente, probabilmente a partire da una vecchia fotografia dell’ingresso della prigione. Il video è stato inizialmente pubblicato su canali Telegram in lingua persiana, ma l’organizzazione per i diritti umani non ha potuto rintracciare la fonte originale.

Al momento degli attacchi, a Evin c’erano 1500-2000 prigionieri, tra i quali difensori dei diritti umani, manifestanti, dissidenti, fedeli di minoranze religiose perseguitate e cittadini stranieri o con doppio passaporto, questi ultimi spesso imprigionati dalle autorità iraniane per esercitare pressioni diplomatiche.

La prigione di Evin si trova in un’area piena di edifici residenziali prossimi ai suoi lati orientale e meridionale. Un abitante del posto ha descritto ad Amnesty International cos’è avvenuto dopo l’attacco:

“Improvvisamente ho sentito un rumore terrificante. Ho guardato dalla finestra e ho visto fumo e polvere salire dalla prigione di Evin. Tanto il rumore quanto il fumo e la polvere che si sollevavano erano terribili. E io che credevo che la nostra abitazione sarebbe stata al sicuro proprio perché era vicina alla prigione… Non ci potevo credere!”.

Finora le autorità hanno reso noti i nomi di 57 civili uccisi negli attacchi, tra i quali quelli di cinque operatrici sociali, di 13 ragazzi che stavano svolgendo il servizio militare obbligatorio come guardie penitenziarie o nell’amministrazione, di altre 36 persone (30 uomini e sei donne) che lavoravano nella prigione e del figlio di una delle operatrici sociali.

Dopo essere state criticate per non aver fornito dettagli sulle persone detenute, sui loro familiari e sugli abitanti uccisi, il 14 luglio le autorità hanno diffuso un rapporto contenente i nomi di due persone: Mehrangiz Imanpour, un’abitante, e Hasti Mohammadi, una donna che faceva volontariato per raccogliere soldi per saldare i debiti del prigionieri. Amnesty International aveva già verificato che Mehrangiz Imanpour era stata uccisa e aveva ottenuto i nomi di altre tre vittime: Masoud Behbahani (un prigioniero), Leila Jafarzadeh (coniuge di un prigioniero, per la cui scarcerazione stava versando la cauzione) e Ali Asghar Pazouki (un passante).

Nella parte centrale della prigione di Evin l’ambulatorio medico, la cucina centrale, la sezione 4 degli uomini e la sezione 209 contenente celle d’isolamento per donne e uomini gestite dal ministero dell’Intelligence nonché la sezione donne hanno riportato gravi danni.

Le prove video verificate da Amnesty International confermano le dichiarazioni delle difensore dei diritti umani Narges Mohammadi e Sepideh Gholian, entrambe in Iran, le quali hanno riferito ad Amnesty International che più testimoni, dalla prigione di Evin, hanno parlato di gravi danni all’ambulatorio.

Narges Mohammadi ha dichiarato che detenuti della sezione 4, situata di fronte all’ambulatorio, le hanno detto che l’ambulanza della prigione era stata distrutta: ciò è stato anche confermato da video che mostrano veicoli distrutti nei pressi dell’ambulatorio. I prigionieri le hanno anche detto che una persona con gravi ustioni sul corpo è crollata a terra mentre stava fuggendo dall’ambulatorio. Due prigionieri, Abdolfazi Ghodiani e Mehdi Mahmoudian, sopravvissuti agli attacchi israeliani e poi trasferiti nel Penitenziario maggiore di Teheran, hanno scritto una lettera da questa prigione, diventata pubblica il 1° luglio:

“La prigione di Evin è stata colpita da diverse, consecutive esplosioni, due o tre delle quali nei pressi della sezione 4. Quando i prigionieri sono usciti dalla porta della sezione hanno visto l’ambulatorio medico in fiamme. I prigionieri hanno recuperato dalle macerie 15-20 corpi: personale medico, prigionieri, staff amministrativo, guardie e agenti”.

Saeedeh Makarem, una medica volontaria presso la prigione di Evin, è rimasta ferita riportando anche ustioni. In una serie di post pubblicati su Instagram a luglio ha raccontato come è stata aiutata dai prigionieri:

“Mi hanno trascinata verso l’angolo del muro, ero semi-cosciente. Mi hanno portato acqua e una coperta, steccato una gamba e pulito il volto dal sangue. Avrebbero potuto fuggire, ma non lo hanno fatto. Mi hanno salvata…”

Il dissidente ed ex prigioniero di coscienza Hossein Razagh ha detto ad Amnesty International che i detenuti della sezione 4 gli hanno raccontato che la forza dell’esplosione li ha scagliati contro il muro e che hanno riportato ferite al capo e al volto. Secondo le ricerche di Amnesty International, l’esplosione ha coinvolto anche gli uffici del personale della sezione 209, intrappolando sotto le macerie alcuni agenti e guardie. Le autorità iraniane non hanno fornito alcuna informazione sulla sorte e sulla destinazione delle persone detenute nelle celle d’isolamento della sezione 209, facendo sorgere timori sulla loro possibile morte o sul loro possibile ferimento.

Attraverso una fonte informata dei fatti, Amnesty International ha avuto conferma della morte di un prigioniero della sezione 4, Masoud Behbahani, di 71 anni. Ha avuto un infarto dopo che l’esplosione lo ha scagliato via da una sedia e diversi prigionieri sono caduti sopra di lui. Invece di essere portato subito in ospedale, è stato trasferito nel Penitenziario maggiore di Teheran, dove è morto a seguito di un secondo infarto.

Amnesty International ha analizzato anche un’immagine scattata all’interno della sezione femminile in cui si vedono i danni al soffitto e all’impianto elettrico. Un’immagine satellitare analizzata da Amnesty International mostra la distruzione di una strada e di due mura di sicurezza nella zona nord della prigione, nei pressi di un edificio al cui interno si trovano le sezioni 240 e 241, note per la presenza di centinaia di celle d’isolamento. Tuttavia, non sono reperibili immagini sulle condizioni dell’edificio e le autorità non hanno diffuso alcuna informazione sulla sorte dei prigionieri che si trovavano all’interno.

Amnesty International ha parlato con famiglie di prigionieri che hanno riferito di danni alla sezione 8, vicina alle sezioni 240 e 241. L’avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh ha detto ad Amnesty International che il suo coniuge arbitrariamente detenuto, il difensore dei diritti umani Reza Khandan, e altri prigionieri sono rimasti feriti a causa delle macerie cadute nel cortile.

La prossima settimana analizzeremo le violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dalle forze iraniane nei loro attacchi contro Israele.

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