Costruiamo comitati popolari contro la guerra e il taglio del welfare!

  • Postato il 16 aprile 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La manifestazione contro la guerra, meritoriamente convocata il 5 aprile dal Movimento 5 stelle, ha raggiunto il grande obiettivo di dare voce pubblica a un sentimento diffuso, largamente maggioritario nel Paese: il no alla guerra.

Vi è infatti oggi in Italia un largo senso comune contro la scelta guerrafondaia che coinvolge l’Unione Europea, il governo italiano e il Pd. La manifestazione del 5, nella sua dimensione di massa, ha quindi reso possibile una connessione sentimentale tra la piazza e la popolazione italiana che va molto al di là delle stesse posizioni specifiche del Movimento 5 stelle: è stata una piazza per la pace, contro la guerra, contro il folle progetto del riarmo europeo e italiano in cui si sono rispecchiati la maggioranza della popolazione italiana.

Questo è stato possibile anche perché, sia pure confusamente e nelle difficoltà dovute ad un sistema informativo protagonista di una crociata russofobica, la gente ha capito che la crisi industriale è il frutto delle politiche di guerra. Sono due anni che la produzione industriale italiana – e quella tedesca – continuano a scendere e questo tracollo del sistema produttivo è direttamente legato alle sanzioni alla Russia e all’attentato terroristico al Nord Stream, che ha visto il coinvolgimento anche di paesi Nato. Il costo astronomico del gas e le sanzioni hanno provocato una perdita di decine di miliardi l’anno, un paio di punti percentuali del Pil: quattro volte il danno che farebbero gli sciagurati dazi di Trump.

La gente si è accorta – forse sarebbe meglio dire che si è ricordata – che la guerra, a differenza di cosa dice Crosetto, non porta sviluppo ma genera povertà oltre a morte e distruzione. Si tratta di una consapevolezza importante – che differenzia l’Italia dagli altri paesi europei – che dobbiamo sviluppare, cercando di passare dalla situazione di “dissenso passivo” ad una presa di parola collettiva e partecipata.

Si tratta quindi di trovare i percorsi concreti attraverso cui costruire una possibile motivazione all’impegno. A me pare possa essere rintracciata nel portare alla luce la connessione forte che lega la guerra alla distruzione del welfare ed in generale al taglio dei diritti sociali. Si tratta quindi di connettere in modo forte la questione sociale con il no alla guerra. Si tratta di costruire una mobilitazione per la pace e il disarmo che sappia intrecciare la lotta pacifista con la difesa delle condizioni di vita degli strati popolari. Occorre abbandonare la scemenza secondo la quale la sinistra parlerebbe alla testa e la destra alla pancia della gente: bisogna parlare alla pancia come alla testa, si ragiona meglio se non si ha fame!

Occorre abbandonare l’idea che la lotta per la pace sarebbe una questione etico-morale che riguarda coloro che hanno a cuore i destini dell’umanità mentre la lotta sociale riguarda semplicemente il soddisfacimento dei più elementari interessi. Occorre politicizzare le istanze sociali e socializzare le istanze pacifiste. Oggi le spese militari sono diventate una quota enorme della spesa pubblica italiana – oltre 30 miliardi all’anno destinati a diventare 40 – e sono incompatibili con il mantenimento della sanità, della previdenza, dell’istruzione pubblica. Queste spese militari sono del tutto inutili per la guerra ma servono a distruggere quello che resta dei diritti sociali del popolo italiano e ad aprire un nuovo spazio per la privatizzazione dei servizi.

Le sciagurate élites capitalistiche europee, dopo aver costruito un modello fondato sull’austerità e sulle esportazioni, dopo aver tentato un rilancio con la green economy – già abbandonata – sta decisamente virando verso un salto di qualità nella privatizzazione di tutti i servizi – dalla sanità all’acqua – motivando questa scelta con la necessità di aumentare le spese militari. La privatizzazione e la finanziarizzazione dei servizi, legate all’enorme aumento della spesa militare, sono la nuova frontiera della barbarie capitalistica che ci stanno imponendo in modo bipartisan le mefitiche élites europee.

Per questo a me pare necessario che in ogni città, in ogni territorio, si dia vita ad un Comitato unitario contro la guerra, contro l’aumento delle spese militari e l’esercito europeo che proponga esplicitamente l’aumento della spesa sociale, il rilancio della sanità pubblica, l’aumento dei salari: occorre uscire dall’austerità non per fare più spesa militare ma per aumentare la spesa destinata al benessere sociale e ambientale. Costruire comitati unitari che leghino la lotta al disagio sociale con il NO alla guerra è il punto su cui operare una vera svolta – oggi possibile – nel paese: oltre al valore in se, contribuirebbero anche a dare gambe concrete alla costruzione di un necessario movimento nazionale che arrivi alla convocazione di una manifestazione nazionale unitaria contro la guerra.

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Il Fatto Quotidiano

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