Qui in Sahel il tempo è scandito dai Gruppi Armati Terroristi e dalla quotidiana lotta per sopravvivere
- Postato il 14 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ognuno ha il suo tempo e forse ognuno è il suo tempo. Anche il saggio diceva che c’è un tempo per tutto e tutto per un tempo. I calendari, le stagioni, gli orologi e, per certi versi i cimiteri, sono inventati o accettati come patetici tentativi per misurare il tempo. Operazione necessaria quando si deve viaggiare coi mezzi pubblici, organizzare compleanni, festeggiare avvenimenti o semplicemente fare memoria di eventi passati. Questo è il tempo ufficiale che naturalmente non coincide affatto col tempo personale che si apparenta ad un mistero incalcolabile perché bagnato di eternità.
Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Così meditava e scriveva il saggio Qoelet.
Il Sahel, spazio particolare dell’Africa subshariana nel quale ho avuto il privilegio di vivere, ha ed è il suo tempo. Dettato, per i più, dalla quotidiana avventura per la sopravvivenza e da anni di azioni destabilizzanti dai definiti Gruppi Armati Terroristi, chiamati banditi da coloro che ne soffrono i soprusi. Sono centinaia di migliaia le persone che hanno visto il loro tempo occupato dalla paura, confiscato dalle armi e venduto agli imprenditori delle guerre. C’è il tempo sospeso dei bambini perché i gruppi armati hanno costretto la chiusura di 13.250 scuole e, secondo l’Unicef, circa 2 milioni e mezzo di scolari sono estromessi dal processo educativo. Sono i figli dei contadini.
Il tempo dei contadini, nelle zone coinvolte dal conflitto importato, subito e poi assunto, si trova nelle mani di altri che decidono arbitrariamente chi può rimanere al villaggio, coltivare, pagare le tasse ai banditi e non sapere nulla del domani. Un tempo espropriato che, messo assieme a quello di coloro che vivono nei campi per sfollati, costituisce come una passerella tra un passato che non tornerà più e un futuro ancora incerto. Un tempo sospeso tra l’attesa di cibo, medicine e condizioni di vita degne e il timore di perdere quel poco di vita che rimane mentre la politica rimane a guardare.
Le strade della capitale Niamey sono una quotidiana metafora dei tempi che accomunano e dividono i cittadini. C’è il tempo delle auto diplomatiche o dei ministri, quello delle ambulanze che annunciano l’urgenza, quello delle migliaia di taxi che si fermano d’improvviso. C’è il tempo dei dromedari che ritmano l’andatura degli autisti dei camion di legna e, infine, il tempo degli asinelli che tirano l’immancabile carretto a colpi, intermittenti, di bastone. Poi c’è il tempo dei semafori che funzionano a seconda dei giorni feriali o festivi e il tempo dei venditori di canarini verdi tenuti in gabbia.
C’è il tempo dei militari al potere nell’Alleanza degli Stati del Sahel, denominatasi AES. Un tempo rassicurante perché fissato a cinque anni di governo e magari rinnovabili o modellabili a seconda delle circostanze che verranno. Un tempo di promesse che, come sempre in politica, impegnano soprattutto chi le ascolta e dunque un tempo militarizzato da armi, uniformi e gradi da distribuire a piacimento per i meritevoli. Quanto al tempo dei poveri, unico nel suo genere, non interessa a nessuno e nessuno potrebbe definirlo. Un tempo appeso tra silenzi, sofferenze e minute speranze.
Sotto il sole del Sahel c’è un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Così meditava e scriveva il saggio Qoelet.
Niamey, aprile 2025
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