Ciò che sta succedendo a Gaza va oltre l’inimmaginabile e ci interroga. Soprattutto sull’Italia e sulla Ue
- Postato il 20 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ciò che sta succedendo a Gaza segna in modo irreversibile il nuovo secolo, e va molto oltre l’inimmaginabile livello di barbarie raggiunto
dal governo israeliano: ci interroga. Sul mondo, sull’Unione Europea, sull’Italia. E ovviamente su Israele.
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, ha denunciato l’occupazione israeliana in Palestina come progetto coloniale che ha raggiunto “lo stadio dell’economia del genocidio”. Più recentemente la Iags, la più grande associazione accademica al mondo di studiosi del genocidio, ha approvato una risoluzione in cui si afferma che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza. Alla medesima conclusione è giunta la Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Persino il ministro Tajani – voce dal sen fuggita? – ha pochi giorni fa affermato che “col genocidio a Gaza noi non c’entriamo”.
Recentemente Massimo D’Alema ha ricordato, sulla base dei rapporti di Amnesty International e Save the Children, l’uccisione da parte di
Israele di minori palestinesi, la detenzione illegale di palestinesi, l’uso sistematico nei loro confronti della tortura, spesso conclusasi con la morte, la ininterrotta espropriazione delle terre. Tutto ciò ben prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Il 18 luglio 2018 la Knesset ha approvato la legge fondamentale che definisce ufficialmente Israele come “Stato-nazione del popolo ebraico”, disconoscendo così la piena cittadinanza dei non ebrei. A tutt’oggi, come ha scritto Luca Grandicelli, la “Legge del Ritorno” garantisce il diritto di immigrare e ottenere la cittadinanza israeliana solo agli ebrei, la “Legge sulle Proprietà degli Assenti” facilita la confisca delle proprietà palestinesi.
Tutto ciò apre un interrogativo pesantissimo: o Israele, Paese in cui si violano da tempo diritti fondamentali, non è una democrazia – “l’unica democrazia del Medio Oriente” – o lo è, perché la struttura statuale prevede le forme essenziali della democrazia: la rappresentanza
parlamentare, le libertà democratiche, e così via. Ma in questo caso – Israele democrazia – crollerebbe il mito della superiorità quanto meno morale del sistema democratico, perché si tratterebbe di una democrazia che viola alla radice i diritti umani.
Certo, sono presenti in Israele ampi e variegati movimenti di protesta contro l’attuale governo; vi sono importanti voci israeliane che
condannano lo sterminio in corso a Gaza e l’annessione progressiva della Cisgiordania. Guai a noi se confondessimo tutti gli ebrei israeliani (e a maggior ragione tutti gli ebrei) col delirio mistico-omicida del governo Netanyahu. Tuttavia, proprio davanti a questo delirio c’è da interrogarsi: Netanyahu è il più longevo primo ministro di Israele. Lo è stato dal 1996 al 1999, e poi dal 2009 al 2021, e poi ancora dal 2022 ad oggi. Il fenomeno Netanyahu non è cioè un evento transitorio e contingente, ma è profondamente radicato nella società israeliana.
Ma che dire del governo Trump e dell’appoggio incondizionato alla politica di Netanyahu? Pochi giorni fa il ministro israeliano Smotrich ha definito Gaza “una miniera d’oro” che va “divisa in percentuale” con gli Stati Uniti. A parte la spregevole misura umana di questo personaggio, va messa a fuoco la conclamata collusione di Trump (nel progetto di Gaza resort c’è anche la mano di Tony Blair) e di conseguenza la tragica direzione di marcia degli Stati Uniti.
E che dire di una Unione Europea imbelle e balbettante davanti a Israele, a fronte di tre anni di scontro frontale con la Russia, se non cogliere la manifesta proposizione del doppio standard (due pesi e due misure), nonostante un timido tentativo del parlamento europeo di proporre misure concrete contro Israele e l’ammirevole coraggio del governo spagnolo? Il doppio standard è la palla al piede di un continente che non riesce a tagliare definitivamente i ponti col suo antico passato colonialista e col suo recente passato (e presente) di dipendenza dagli Stati Uniti.
Ma c’è di più, e riguarda la Germania e – questo è il punto – l’Italia. È sempre più chiaro che il governo Meloni è legato mani e piedi a
Netanyahu (oltre che a Trump). Dietro la figura francamente grottesca e imbarazzante di Tajani si muove un universo di interessi e un intreccio di legami con Israele, un vero inestricabile nodo che andrebbe sciolto, arrivando alla sua radice.
Nel suo rapporto Francesca Albanese afferma che “il produttore italiano Leonardo” partecipa al “più grande programma di approvvigionamento militare mai realizzato, quello relativo al cacciabombardiere F-35 … Dopo l’ottobre 2023, gli F-35 e gli F-16 sono stati fondamentali per dotare Israele di una potenza aerea senza precedenti”. A ciò si aggiunge il cosiddetto “memorandum”, recentemente confermato dal governo; si tratta dell’Accordo militare di Sicurezza Italo Israeliano, che riguarda lo scambio di tecnologie, brevetti, software e informazioni riservate, coperto da segreto militare.
In questo scenario centinaia e centinaia di gigantesche manifestazioni in tutto il mondo da tempo in corso rappresentano la più grande
legittimazione dell’urgenza della creazione di uno Stato palestinese e il totale isolamento di Israele nella comunità internazionale. Eppure a questo straordinario movimento si giustappone la sostanziale impotenza dell’Onu e dell’Unione Europea. Non c’è nessuna “coalizione di volenterosi” pronta a intervenire per far cessare l’orribile macello di Gaza, nè alcun (serio) pacchetto di sanzioni verso Israele, né alcuna esclusione dalle manifestazioni sportive o culturali di Israele (giuste o sbagliate che siano, non si capisce come mai si adottino verso Mosca e non verso Tel Aviv).
Tanta parte dell’occidente, a cominciare dall’Unione Europea, non è mai stata così isolata: dall’Africa, dall’America Latina, dall’Asia. Eppure proprio questi sono i Paesi verso cui l’Europa dovrebbe guardare per una rinascita tecnologica, industriale, commerciale rispetto alla drammatica crisi che sta attraversando e che attraverserà. Mai come oggi l’Europa ha bisogno del mondo.
E infine, la democrazia: Netanyahu e Trump sono esponenti di quella internazionale nera che sta erodendo dall’interno come un tarlo la
sostanza dei sistemi democratici, fondata sul rispetto dei diritti umani. Trump, in base alla sua politica interna di terra bruciata verso
qualsiasi opposizione e spesso di violenta repressione, sembra vada verso la dittatura della maggioranza, come aveva paventato a metà
Ottocento Alexis de Tocqueville.
La crisi è profondissima: queste destre avanzano in Francia, Germania, Gran Bretagna, a fronte dell’inconsistenza della stessa Ue la cui unica preoccupazione è il riarmo, la cui immagine è sfregiata dall’inerzia e dal doppio standard davanti alla tragedia palestinese, la cui stessa
unità svanisce giorno per giorno davanti alle iniziative dei singoli Stati e dalle pesanti contraddizioni che le caratterizzano. Peraltro è in discussione il destino e l’esistenza stessa di un popolo, quello palestinese. Ma assieme, paradossalmente, è in discussione il futuro di Israele, il cui peggior nemico è il suo attuale governo.
Adesso è l’ora di una mobilitazione universale per porre fine allo scempio a Gaza e in Cisgiordania. Domani sarà l’ora di ricostruire una
convivenza fra popoli in quella terra martoriata, senza discriminazioni, senza colonialismi, senza annessioni, senza occupazione, senza le
violenze israeliane, senza le vendette di Hamas, senza l’uragano di terrore attuale. Sarà difficilissimo, perché i figli ricorderanno i padri assassinati e, cosa ancor più grave, i padri ricorderanno i figli, spesso bambini, assassinati. Ma è bene pensare fin d’ora al futuro, ammesso (e non concesso) che termini l’orgia di sangue in corso. Se la parola “umanità” ha ancora un senso, dal Giordano al Mediterraneo devono
davvero convivere due popoli in reciproca sicurezza. Nonostante tutto.
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