Voglio sfatare una terribile falsità: non è vero che Ricky Farina non ha mai lavorato!
- Postato il 11 marzo 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Oggi vorrei sfatare un mito, una diceria, una terribile falsità: Ricky Farina non ha mai lavorato in vita sua. Non è vero! Ho lavorato anche io, per brevi periodi di tempo.
A 18 anni circa ho lavorato come barista alla Scala di Milano, giacca bianca e pantaloni neri dietro il bancone della galleria, non in platea dove stavano i baristi più esperti. Di quella esperienza ricordo con terrore l’affluso della gente tra un atto e l’altro, tutti con uno scontrino in mano che reclamavano la mia attenzione, ho scoperto che ci sono svariati modi per chiedere un semplice caffè: espresso, macchiato, schiumato, decaffeinato, lungo, doppio, ristretto con panna, corretto. Andavo in confusione. Ero in preda al panico per un semplice caffè proteiforme, il battito cardiaco aumentava e sudavo. Una volta ho agitato tanto una bottiglia di spumante che quando l’ho stappata ho innaffiato un sacco di teste e uno spiritoso mi disse: “Piove!”. Che figuraccia.
La notte prima di andare via bisognava chiudere con un lucchetto le bottiglie più preziose. Sbagliai anche in quel caso, non sono bravo a chiudere, ma sono bravissimo ad aprire. La mattina dopo incontrai un collega sul tram che mi disse: “Un cretino ieri ha sbagliato a chiudere gli armadietti delle bottiglie, c’è aria di licenziamento“. Risi, poi mi accorsi che quel cretino ero io. Mi licenziarono, ovviamente. Furono però tre mesi interessanti in uno dei teatri più famosi del mondo. Ricordo che vidi di spalle il maestro Muti mentre faceva le prove con l’orchestra e pensai: chissà come lo prende lui il caffè.
Poi feci 6 mesi in una officina di materie plastiche vicino a Corvetto. Stampavamo i triangoli di segnalazione per le auto, era l’officina del cugino di mio padre. Lavoravo di notte. Nell’officina c’era un piccolo frigo ricolmo di cachi dolcissimi, Zabov e bottiglie di spumante. Tra un triangolo e l’altro io e i miei colleghi andavamo a svaligiare il frigo, lo Zabov alle tre di notte è meraviglioso.
Poi una notte accadde una cosa strana. Un mio collega che lavorava al mio fianco mi disse: “Lo sai che io sono un superdotato? Ho il fallo di un cavallo, se guardi vicino al ginocchio vedrai un rigonfiamento”. Guardai vicino al ginocchio, c’era effettivamente un pauroso rigonfiamento. A quel punto il mio cervello mi pose questa domanda inaspettata: Ricky, che cosa ci fai in una officina di materie plastiche di notte, con un uomo che ti mostra il suo fallo equino?”. Il giorno dopo dissi a papà che come esperienza lavorativa poteva bastare, mi ero fatto un’idea del mondo del lavoro, grazie papà di tutto, ringrazia tuo cugino per l’esperienza ma io torno a studiare Filosofia.
Dopo la morte del mio adorato papà, la mia coscienza mi impose di tornare a frequentare il mondo del lavoro per dare un buon esempio alla mia mamma rimasta vedova. Feci 15 giorni all’Euronics come uomo delle pulizie e venditore. Ricordo un bulletto che era il mio capo, mi faceva sgobbare, spolverare, spazzare. Una mattina davanti a una bella cliente con la quale il bullo faceva il seduttore, il suddetto bullo mi apostrofò così: “Quando torni a casa per la pausa fatti una doccia che puzzi, si sente odore”. Ci rimasi malissimo. Ingoiai il rospo e l’umiliazione per amore di mia madre. Il giorno dopo mi disse la stessa cosa: “Fatti una doccia, mi raccomando”. Andai nello spogliatoio, appesi la divisa al chiodo, andai dal bulletto e gli dissi: “Me ne vado, trovati un altro da bullizzare, mio padre faceva l’ingegnere e posso vivere senza lavorare, alla faccia tua e di tutti quelli come te”.
Per pagarmi il film sulle elezioni politiche del 2006 tra Prodi e Berlusconi, andai a fare le bolle di accompagnamento merci in una ditta di trasporti. Fu una bella esperienza, mi sono sempre piaciuti i camionisti. I camionisti vivono tutti con trasporto! E non è una banalità. Avevo colleghi simpatici che portavano in ufficio la pancetta di Piacenza. Si stava bene, un ambiente sereno e scherzoso. Un pomeriggio si avvicinò alla mia postazione un camionista con i capelli ossigenati e mi disse: “Ma tu, tu, che cazzo ci fai qui?”. Fu come una rivelazione! Già, io sono un regista e un filosofo, che cazzo ci faccio qui tra voi meravigliosi camionisti? Erano passati dieci mesi e avevo guadagnato circa mille euro (era mezza giornata), potevo finanziarmi il documentario Qui Milano libera con l’amico Piero Ricca, senza chiedere soldi alla mia generosa mamma.
Ecco in breve tutte le mie esperienze lavorative più pregnanti. Se fate la somma ho lavorato poco più di un anno in 56 anni di vita, non è tanto, lo ammetto, ma è pur sempre qualcosa, no?
Il mio vero lavoro, anche se nessuno mi paga, è fare film sulle persone che incontro e sulla mia vita, a fine mese andrò a Pozzolengo a fare un film sull’amicizia tra Franco Piavoli e Silvano Agosti, due poeti dell’arte cinematografica, per me sarà un piacere e un onore passare qualche giorno con loro e filmarli nei piccoli gesti quotidiani. La poesia è il mio cammino, si dice che la poesia non sia in grado di dare il pane, ma io faccio Farina di cognome e non ho alcuna paura.
Vi lascio con un mio film all’amico Silvano Agosti, ma fra non molto conoscerò di persona anche Franco Piavoli e non vedo l’ora. Non è una vita da buttare via, tutto sommato. E non è nemmeno così inutile. Certamente non è una vita noiosa, è una vita libera, è libera perché il mio principale è anche il mio principio: la mamma.
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