Uscire da guerra e riarmo: cinque passi per la pace in Ucraina con la forza della nonviolenza

  • Postato il 7 marzo 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Se lo stesso scandalo per lo scontro verbale in diretta televisiva tra Trump e Zelensky si sollevasse per le centinaia di migliaia di giovani ucraini e russi che da tre anni si uccidono reciprocamente lontano dalle telecamere, forse l’Europa avrebbe mediato il conflitto da tempo. Come chiediamo fin dall’inizio. Invece i governi europei che oggi si stracciano le vesti hanno lasciato gli ucraini nelle mani di Putin e Trump e – come l’uomo con il martello che vede il mondo come un chiodo – non trovano altra “soluzione” che avviare una nuova corsa agli armamenti, che trasformi l’Europa dello stato sociale nell’Europa dello stato di guerra permanente: dal welfare al warfare. Con un gigantesco spostamento di risorse dagli investimenti civili alle spese militari e una riconversione industriale al contrario: dal civile al militare, dalle automobili ai carri armati. Il “ReArm act” della Commissione europea è la consegna, insieme ad 800 miliardi di euro, del governo della Ue direttamente al complesso militare-industriale.

Ma anziché questo folle riarmo, che può portare nel giro di poco tempo alla guerre mondiale e nucleare, l’Europa deve recuperare lo spirito e la lettera di Ventotene – antinazionalista e antimilitarista (“La federazione europea riduce al minimo le spese militari, permettendo così l’impiego della quasi totalità delle risorse a scopi di elevazione del grado di civiltà”, scriveva Altiero Spinelli nel 1942) – e attrezzarsi per trascendere il conflitto, ossia adoperarsi per una soluzione che fornisca garanzie a tutte le parti in campo, fondata non sui “nostri valori” – formula abusata per giustificare ogni guerra degli ultimi 35 anni – ma sui bisogni fondamentali di tutti gli attori in campo: sopravvivenza, benessere, libertà, sicurezza. A partire dal cui riconoscimento, “più ampio è lo spettro delle soluzioni più numerose sono le alternative alla violenza. E questo è il punto principale: usare l’energia generata dal conflitto per arrivare a soluzioni creative” (Johan Galtung, Affrontare il conflitto, 2008).

Per esempio l’uscita di sicurezza dalla guerra in Ucraina proposta dal Movimento Nonviolento che si fonda sì sulla “forza” – come dice Von der Leyen – ma sulla forza della nonviolenza e non delle armi, attraverso cinque passi di pace collegati e integrati. Eccone una sintesi.

Primo passo: creazione di una zona smilitarizzata tra Unione Europea e Russia, che attraversi Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Ucraina, con l’istituzione di un corridoio di 500 chilometri di larghezza lungo tutto il confine, dal Mar Bianco al Mar Nero.

Secondo passo: avviare immediatamente una moratoria nucleare che coinvolga i paesi detentori di armi nucleari presenti sul continente europeo (Francia, Regno Unito, Russia, e Stati Uniti con ordigni presenti anche in Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi), con l’impegno all’adesione concordata e multilaterale al Tpnw, il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari.

Terzo passo: avviare un progetto esecutivo per la costituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo, secondo la lungimirante visione di Alex Langer, per la gestione non militare della crisi. In ogni conflitto internazionale, tra l’inerzia indifferente e il mandare armi ed eserciti, c’è lo spazio dell’azione civile, prima, durante e dopo l’esplosione della violenza. Se l’Unione Europea si fosse dotata di questo mezzo di pace capace di intervenire efficacemente sul terreno, invece delle armi e delle milizie armate, avrebbe potuto perfino prevenire l’invasione russa dell’Ucraina.

Quarto passo: dare la parola ai movimenti civili e democratici che in Russia, Ucraina e Bielorussia si sono opposti da subito alla guerra e hanno avanzato proposte di pace, a partire dal sostegno a obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva di tutte le parti in conflitto. Coinvolgere loro, “costruttori di ponti e saltatori muri” (Langer) portatori di interessi comuni, in un “tavolo delle trattative” da convocare in territorio neutrale e simbolico. Per esempio presso la Città del Vaticano.

Quinto passo: convocare una Conferenza internazionale di pace sotto egida dell’Onu, con tutti gli attori coinvolti direttamente e indirettamente nel conflitto, per la costruzione di una sicurezza globale condivisa e un futuro di pace.

Quest’anno ricorrono i 50 anni della Conferenza internazionale di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, la cui dichiarazione finale costituì nel 1975 il primo coraggioso atto di disgelo tra la Nato e il Patto di Varsavia. Il successivo abbattimento del muro di Berlino nel 1989, con la fine della “guerra fredda”, invece, non vide alcuna conferenza di pace che definisse il nuovo assetto dell’Europa e del mondo: il presidente Gorbaciov, che ne fu il protagonista insieme ai popoli europei, interpretò la fine dell’era bipolare come l’avvio di un nuovo ordine internazionale multipolare e pacifico; i presidenti Usa, Reagan e Bush, come la vittoria dell’Occidente nel dominio unipolare del pianeta. Ormai è tempo di sanare quell’equivoco, che continua da allora a provocare guerre e danni.

Un’uscita di sicurezza dalla guerra è dunque possibile, ma è fondata su un’altra Europa e su un’altra idea di difesa: della pace e della sicurezza di tutti i cittadini del Continente, anziché degli interessi dell’industria bellica internazionale.

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Il Fatto Quotidiano

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