A cosa serve promuovere il lamento europeo? La fiera delle vanità e dell’ipocrisia

  • Postato il 10 marzo 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Sabato 15 marzo prossimo siamo tutti convocati in piazza dal sempre più malmostoso Michele Serra (un tempo era perfino spiritoso) per l’Europa. Per dire cosa? Che vorremmo un continente di pace, giustizia e libertà? Che lo vorremmo più forte per fare cosa? Insomma, siamo alla ricerca di un labiale collettivo che emetta suoni rassicuranti, in quanto possano sembrare parole consolatorie. Ed emetterli in tanti per farci coraggio. Per convincerci che il cerimoniale possa trasformare un organismo neurovegetativo tendente alla passività in un protagonista assoluto della riscossa di quell’antico aggregato morente. Un conglomerato di vecchi Stati che non sono stati in grado di tutelare neppure il loro più nobile tratto distintivo: la democrazia.

Pensiamo davvero che da questo conciliabolo di cadaveri, allestito in permanenza tra Strasburgo e Bruxelles, possano scaturire le energie per una riscossa che fu la fiammella accesa a rischiarare per qualche istante il cielo di Ventotene; rapidamente soffocata nei corridoi in penombra percorsi da burocrati che si pretenderebbero tecnocrazia, da politicanti in fine corsa o seconde/terze scelte di partito in cerca di un contentino per carriere mai decollate, dalla seconda moltitudine di lobbisti e spicciafaccende (12.500 censiti più gli irregolari), dopo quella in bivacco attorno a Capitol Hill, famelica di favori per i propri committenti?

L’Unione europea come ritratto alla Dorian Gray di un intero ceto politico. Meglio (o peggio) ancora: l’immagine simbolo di una sedicente classe dirigente che ha smarrito (se mai l’ha avuta) una qualche spinta ideale e vivacchia coltivando banalità e ritualismi celebrativi del luogo comune; i più corrivi calcoli di convenienze senz’anima. Il consesso europeo come un cimitero degli elefanti. Ovvero il quadro alla Oscar Wilde, icona di una fisiognomica orripilante, che riproduce il volto corrotto dalle devastazioni morali di un cedimento permanente alle miserie quotidiane, nella rinuncia alle proprie idealità rischiose, coltivate quando prese le mosse un itinerario biografico ben diverso; di un professionismo ormai senz’altro scopo che tutelare il livello di benessere materiale acquisito con l’accesso a sedi per presenze ben remunerate.

La fiera delle vanità e dell’ipocrisia.

Per cui ci si chiede che senso ha scendere in piazza a sostegno dei primi responsabili del misfatto rappresentato dalla dilapidazione di un’idea generosa; quale l’esperimento unico al mondo della nascita di un soggetto “altro”, rispetto a Stati e Imperi. L’Europa federale? Ossia gli inadeguati mestieranti quali – attualmente – l’insignificante presidentessa della Commissione europea Ursula Von der Leyen, il cui consorte – esponente di Big Pharma – si era dimesso dalla società Orgenesis beneficiata da fondi di ricerca Ue, e le macchiette che l’hanno preceduta: il portoghese José Barroso, maoista convertito al NeoLib, attualmente ingaggiato da Goldman Sachs come advisor, e il Jean-Claude Juncker, piazzista – secondo l’inchiesta LuxLeaks – quale primo ministro del Lussemburgo di scappatoie per l’evasione fiscale a favore delle multinazionali.

Il tutto in un contesto dove il personale politico presunto promotore del progetto europeo originario, risulta sempre più intruppato in quella che la pasionaria tedesca Sahra Wagenknecht definisce “sinistra alla moda”. Per cui “la causa principale della crescita della destra è quindi l’incapacità della sinistra liberale di fornire un programma attraente a tutti quegli individui che negli ultimi decenni la politica ha scaricato“.

Sicché, invece della celebrazione dell’insignificanza in un mondo che va assumendo un assetto bi-tripolare, in cui l’Europa conta meno di niente, sarebbe ben più utile che l’intelligenza collettiva democratica discutesse sul come dare vita a un soggetto in grado di promuovere realmente istanze fondamentali quale giustizia, pace e libertà.

Insomma, ritrovare l’essenza dello spirito di Ventotene invece del gioco a dilapidare 800 miliardi di euro nella teatralizzazione di un riarmo a casaccio.

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Il Fatto Quotidiano

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