Viviamo la guerra come un eterno show: siamo diventati anaffettivi persino agli eccidi
- Postato il 2 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Carmelo Zaccaria
Quasi sempre le cause scatenanti dei conflitti sono collegate all’alzata di ingegno di qualche maldestro mentecatto, incapace di tenere a bada la sua smisurata fantasia di grandezza, perseguitato da una hybris incontrollabile, afflitto da un Ego distruttivo, per sé e per gli altri. Si potrebbe dire, parafrasando Tolstoj, che tutte le guerre si somigliano nel determinare l’infelicità dei popoli, ma qualcuna, a suo modo, rende questa infelicità particolarmente aspra e insostenibile.
Oggi ci dice male, perché i belligeranti che animano le attuali contese, tutti insieme e tutti in una volta, esagerano in megalomania e impudicizia, impegnandosi vicendevolmente in una gara di esuberante ribalderia. Il loro discredito, conquistato sul campo, sottrae alla scena bellica ogni frammento di pathos e di solennità. Il peso angoscioso delle atrocità perpetuate scompare dentro le viscere delle dirette social, dove tutto si smorza, dove ogni turbamento si scolora e svanisce in un infinito scrolling di immagini che scorrono e si sovrappongono così frenetiche che non trovano il tempo di attecchire nel profondo delle nostre coscienze.
Più che testimoni consapevoli di una tragedia carica di morti e disseminata di sangue ci sentiamo spettatori casuali, in transito, consumatori sbadati di notizie di cui non percepiamo appieno le drammatiche e inevitabili conseguenze; equivochiamo sulle cruenti scene di guerra come fossero giochi simili alle war machines in cui vengono sganciati missili finti che non fanno male ed esplodono bombe che non provocano macerie. Stiamo diventando anaffettivi persino agli eccidi e ai patimenti. Ci asteniamo, come per tenere lo strazio che ci circonda a debita distanza.
Viviamo la guerra come un eterno show dove gli attori principali, ad iniziare da Trump, annunciano i crimini più efferati, proclamano micidiali incursioni aeree e bombardamenti millimetrici, come se parlassero di nuovi episodi di una serie tv. Ci si scambiano sopra pure i complimenti, tenendo il pollice alzato, ammiccando e sorridendo: Abbiamo vinto! Il mondo è più sicuro! Ciò che fa più paura è proprio questa sconcertante levità, la noncurante nonchalance nel volersi fare applaudire informando l’intera umanità di aver avallato cose terribili, senza alcun cenno di rincrescimento o un filo di ripensamento, senza tenere conto della gravità del momento, sorvolando sulle sofferenze inflitte, infischiandosi dei risvolti politici e dell’inquietudine che suscita nel cuore delle persone questa intollerabile imprevedibilità, certamente figlia dell’arroganza del potere.
Ancora di più disorienta la faciloneria con cui si governano i destini del mondo come si ammazzasse il tempo, pensando di sorseggiare uno spritz pieno di ombrellini colorati all’angolo della Fifth Avenue: “Sto andando un attimo a sganciare un paio di bombe in Iran”. Ragazzi, poi vi racconto.
Trump è uno che darebbe l’anima per poter decidere le sorti del mondo passeggiando su un campo di golf (e non è detto che non lo faccia). Troppo preso da se stesso per capire anche il mondo. Ecco perché non si trattiene. Ricorda il dottor King Schultz in una scena finale di Django Unchained di Quentin Tarantino che mentre tende il braccio per stringere la mano al famigerato schiavista Calvin Candie, d’impeto estrae la pistola dalla manica della giacca e lo fredda a bruciapelo. Poi esclama, allargando le braccia: “Scusate, non sono riuscito a resistere”. Ma almeno il dott. Schultz era un uomo di classe, credeva in una società di uomini liberi e odiava lo schiavismo, mentre abbiamo qui il Presidente più potente del pianeta che tiene per buone solo le sue sfacciate e plateali incontinenze.
Non sarebbe, tuttavia, neanche tanto indecoroso se quel suo ghigno strozzato a culo di gallina, da sovrano strafottente, non facesse breccia sull’inerzia caotica dell’Occidente che, andandoci a braccetto, rischia di mettere a repentaglio i suoi valori etici e l’identità socio-politica su cui fu così faticosamente progettato.
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