Si vis pacem, para bellum: è davvero così? Gli effetti del riarmo oggi come nel passato
- Postato il 25 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Davvero il motto latino “se vuoi la pace prepara la guerra” – pronunciato in Parlamento dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni – è un principio a cui oggi è necessario uniformarsi? Il riarmo garantirà la nostra pace? Il rapporto Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) segnala che nel 2024 la spesa militare globale ha subito un incremento del 9,4% rispetto al 2023 segnalandosi come il più grande aumento annuale dalla fine della guerra fredda, all’interno di un trend di crescita continua che attraversa un decennio (www.eticasgr.com). Un’isteria collettiva, figlia dell’incapacità della comunità internazionale e dell’Onu di porsi a garanzia della pace. Dal canto loro, Stati Uniti e Russia tra i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, hanno contribuito a destabilizzare gli assetti mondiali. Si è creato un disordine globale che porta a convogliare maggiori risorse verso le spese militari, a detrimento di politiche economiche incentrate sullo sviluppo e il benessere.
L’innalzamento delle spese militari produce reazioni di incremento a catena: accade oggi come avvenne in passato. L’esempio classico è la corsa agli armamenti che sfocia nella Prima guerra mondiale, laddove il conflitto è visto come soluzione all’instabile equilibrio europeo e alla riduzione degli scambi commerciali. L’esito che ne è scaturito ha prodotto circa 16 milioni di morti e 20 milioni di feriti, senza rimuovere in alcun modo le cause che hanno generato lo scontro e creando le premesse per lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
L’indebitamento scaturito dallo sforzo bellico nella Grande guerra e una pace oltremodo punitiva nei confronti della Germania, hanno contribuito alla contrazione del commercio internazionale. A fragili economie si accompagnano fragili democrazie. La Seconda guerra mondiale è scatenata dalla Germania nazista, ma l’ascesa al potere di Hitler è stata figlia dell’incapacità dei governi di Heinrich Brüning, di Franz von Papen e di Kurt von Schleicher nel trovare soluzioni alla grave crisi economica sopravvenuta dopo il 1929.
È la prosperità dell’economia, in uno sviluppo armonico teso a contrarre le disuguaglianze sociali, una fonte di stabilità degli Stati e delle democrazie. Il piano di riarmo Nato che vorrebbe innalzare al 5% del Pil le spese militari (dopo che la nostra economia già fatica a sostenere il 2%) porterebbe gli investimenti militari dai 45 miliardi odierni ai 100 miliardi, da sostenere ogni anno per un decennio. Una spesa che non può essere affrontata ingrossando il già pesante debito pubblico e che non produrrà un incremento del reddito nazionale. L’ingente esborso inevitabilmente sottrarrà risorse alle altre attività produttive, alla previdenza sociale, alla sanità, all’istruzione e alla tutela ambientale.
A questo punto il problema non diventa più “come ci difendiamo”, ma cosa resterà della tenuta sociale del nostro Paese.
La sbandierata idea del riarmo come deterrenza, ripresa dal contesto della guerra fredda, non tiene conto che su quella dissuasione al conflitto pendeva la minaccia nucleare e che a contrapporsi non c’erano solo due Paesi, ma due blocchi di Stati all’interno di un ordine mondiale. Esattamente il contrario di ciò che accade oggi.
La frammentazione conflittuale che scuote il pianeta necessita di una ricomposizione che potrà essere realizzata con un nuovo patto mondiale fra le nazioni che porti su di sé la coscienza dell’atrocità di ogni guerra e che agisca con ogni mezzo per evitare il ricorso alle armi.
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