Ponte sullo Stretto e rischio infiltrazioni mafiose: fatti, nomi, dispositivi di prevenzione
- Postato il 5 settembre 2025
- Ambiente
- Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella
La regola d’oro: la mafia insegue il denaro
C’è una frase che ritorna in ogni conversazione con magistrati, investigatori, prefetti: «la mafia insegue il denaro». È una legge semplice, quasi matematica. Dove scorrono grandi flussi di denaro pubblico, lì le organizzazioni criminali cercano spazio. Per questo i cantieri del Ponte sullo Stretto, con un valore complessivo che supera i 13 miliardi, sono un obiettivo sensibile. Due territori fragili, Sicilia e Calabria, e una filiera di appalti e subappalti che può moltiplicarsi per centinaia di soggetti. Il rischio non è astratto: è già stato scritto nella storia giudiziaria degli ultimi decenni.
Lezioni dal passato
Gli anni Ottanta e Novanta raccontano un Sud che ha già conosciuto le mani della mafia sulle grandi opere: dall’autostrada Salerno–Reggio Calabria alle dighe, dai porti ai villaggi turistici. La Piana di Gioia Tauro, scelta come retroporto del più grande scalo di transhipment del Mediterraneo, è stata attraversata dalle mire della ’ndrangheta, con interdittive, sequestri e scioglimenti di consigli comunali.
Nel messinese, la Cosa nostra barcellonese e le cosche catanesi dei Santapaola-Ercolano hanno controllato interi settori edilizi e movimentazioni portuali. Lì, negli anni Ottanta, perfino le forniture di calcestruzzo e bitume venivano spartite tra clan, come dimostrano sentenze passate in giudicato. La memoria giudiziaria non è un fardello, ma un avvertimento. Dire che i cantieri del Ponte sono esposti significa ricordare fatti concreti: interdittive antimafia, protocolli di legalità, inchieste che hanno già toccato i lavori preliminari di adeguamento ferroviario e portuale.
I clan e i loro territori
I nomi vanno pronunciati non per effetto scenico, ma per precisione. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha processato per decenni le famiglie Piromalli, Molè, Pesce e Bellocco, capaci di incidere sulle dinamiche del porto di Gioia Tauro. I De Stefano-Tegano, i Condello, gli Alvaro e gli Iamonte hanno segnato la storia criminale reggina.
Sul versante siciliano, i barcellonesi hanno rappresentato un nodo di potere a cavallo tra imprenditoria e malaffare, mentre la connessione con la Catania dei Santapaola-Ercolano ha dimostrato la permeabilità degli appalti pubblici. Le cosche messinesi e catanesi hanno investito in movimento terra, logistica, forniture di cemento, trasporti: tutto ciò che un grande cantiere del Ponte inevitabilmente richiederà.
Oggi nessuno di questi nomi equivale automaticamente a una mano sui cantieri del Ponte. Ma la mappa delle aree di influenza spiega perché l’attenzione debba essere massima.
Strumenti di prevenzione: cosa esiste
La cornice legale non parte da zero. Le Prefetture di Reggio e Messina gestiscono già white list di imprese certificate come non soggette a tentativi di infiltrazione. Esistono protocolli di legalità sottoscritti in passato per opere propedeutiche. L’ANAC chiede monitoraggi trasparenti. La DIA (Direzione investigativa antimafia) ha attivato nuclei specifici per i grandi cantieri.
Ma questi strumenti non bastano se non diventano dinamici. Una certificazione statica non garantisce che un’impresa, “pulita” al momento dell’iscrizione, non possa essere successivamente condizionata. L’esperienza insegna che le cosche usano prestanome, società di comodo, persino imprese del Nord apparentemente “immacolate”, che finiscono col diventare terminali di capitali sporchi. Servono incroci bancari in tempo reale, controlli di cantiere senza preavviso, tracciabilità digitale dei pagamenti, collaborazione continua con la Guardia di Finanza.
L’intimare: lo Stato che segna un confine
Qui si colloca il cuore del problema: la mafia non teme le parole, ma teme gli atti concreti che “intimano” un confine netto. Intimare significa notificare senza ambiguità che ogni deviazione comporta conseguenze immediate e irreversibili. Non un linguaggio vago, ma un sistema di regole che produce automaticamente sanzioni.
Se un’impresa viene colta in rapporti opachi, deve scattare la revoca immediata del subappalto. Se un flusso di denaro non è tracciato, deve attivarsi il blocco dei pagamenti. Se un cantiere mostra anomalie negli accessi, occorre la sospensione fino alla verifica. Solo così il messaggio diventa chiaro: “qui lo Stato non osserva soltanto, ma comanda”.
L’intimare è una forma di pedagogia istituzionale. Non è solo repressione: è costruzione di un contesto in cui i soggetti economici capiscono che giocare sporco non conviene.
Un protocollo rafforzato: i capitolati di prevenzione
Che cosa dovrebbe contenere un vero protocollo di legalità aggiornato e coerente con i rischi del Ponte? Non solo dichiarazioni di principio, ma capitolati operativi:
- Accessi senza preavviso: forze dell’ordine abilitate a controlli diretti in cantiere, con report pubblici e consultabili online.
- Tracciabilità digitale totale: ogni pagamento deve passare da piattaforme verificabili, con codici univoci e banche dati incrociate con l’Agenzia delle Entrate.
- Black list dinamiche: non solo precedenti sentenze, ma anche segnalazioni bancarie, anomalie finanziarie e legami societari sospetti.
- Revoca automatica: nessuna discrezionalità politica quando emergono legami opachi. Lo stop deve scattare subito.
- Osservatorio indipendente: con Università, Ordini professionali, sindacati e società civile, per evitare che il controllo resti solo interno alle istituzioni.
- Formazione obbligatoria: imprese e lavoratori devono conoscere i rischi di infiltrazione e i comportamenti da adottare.
- Badge intelligenti e varchi elettronici: ogni ingresso in cantiere deve essere registrato e incrociato con le white list.
- Trasparenza totale: pubblicazione trimestrale dei contratti, dei subappalti e dei flussi economici sul web.
Il ruolo degli enti locali e della società civile
Intimare alle mafie un limite non significa militarizzare i cantieri. Significa responsabilizzare gli enti locali, le associazioni, i sindacati. Se i comuni di Reggio e Messina, insieme ai cittadini organizzati, diventano parte attiva nel monitoraggio, il messaggio si rafforza: “questa opera appartiene a tutti, non a chi vuole piegarla”. La società civile può diventare alleato strategico, se viene coinvolta con trasparenza e strumenti concreti: osservatori pubblici, assemblee periodiche, pubblicazione online dei dati. La storia di Libera e delle cooperative sui beni confiscati insegna che laddove la comunità vigila, la mafia arretra.
Un test di maturità per lo Stato
Il Ponte sullo Stretto è un banco di prova. Non solo ingegneristico, ma istituzionale. Dimostrare che un’opera di tale portata può essere realizzata senza che le mafie intercettino risorse significa affermare una nuova maturità dello Stato italiano.Il linguaggio del compromesso non basta: occorre un linguaggio di intimazione. Ogni tre mesi, l’opinione pubblica dovrebbe ricevere numeri, anomalie, rimedi adottati. Solo così la fiducia potrà consolidarsi.
Conclusione: dalla paura al rispetto
Il filo d’oro di questo articolo è la capacità dello Stato di trasformare la paura in rispetto. Le mafie non si combattono con le parole, ma con regole chiare, applicate senza deroghe. L’intimare – nella sua dimensione giuridica e simbolica – è l’unico messaggio che può blindare davvero i cantieri.
Se il Ponte nascerà sotto questa stella, allora sarà non solo un’infrastruttura, ma un atto di emancipazione per due territori segnati da decenni di ricatti e omertà. Un segnale al mondo intero che il Sud non è più “terra di conquista”, ma laboratorio di legalità.
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