Perché sul Rio delle Amazzoni non esistono ponti? Un confronto con lo Stretto di Messina
- Postato il 9 settembre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un bellissimo saggio di Anita Seppilli analizza l’asservimento dei fiumi sotto una lente antropologica. Il libro – Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti (Sellerio, 1977) – è ormai introvabile, ma meriterebbe una ristampa, almeno digitale. Quando chi ci governa magnifica per l’ennesima volta le virtù del Ponte sullo Stretto di Messina, non posso dimenticare quanto scrive Seppilli alla fine del sesto capitolo: “Richiesero i ponti più antichi il presidio di sacrifici umani? L’interrogativo potrebbe sembrare del tutto arbitrario se non tenesse conto della persistenza di drammatiche leggende mantenutesi vive ancor oggi in tutta l’area balcanica e oltre”.
Le prossime generazioni vedranno sorgere tra Scilla e Cariddi quel ponte sempre promesso e mai visto? Un mito antropologico che resuscita come l’araba fenice (Fig.1). Magari in virtù di un “colpo di sole” come scrisse il collega Marco Ponti a proposito della penultima puntata della saga. Nomen omen, uno scherzo del destino, a differenza dell’etimologia di Pontifex, costruttore e custode del ponte.
Figura 1
Il redivivo Ponte sullo Stretto offrirà senz’altro un buon cappuccino dove intingere i biscotti, siano nuovi studi progettuali, siano approfondimenti tecnico-scientifici chissà perché finora trascurati nei soli 70 anni di progettazione; senza tacere della doverosa ri-progettazione per adeguare l’opera a normative che si rinnovano più o meno ogni dieci anni. E, magari, capire il livello di rischio nel corso del tempo, sia nella prolungata fase di costruzione, sia in fase di esercizio, sia nel lento corso della inevitabile obsolescenza (Fig.2).
Figura 2
Studiare non fa mai male, anche se i genovesi nel cappuccino tuffano la focaccia, non i biscotti.
L’Italia è un paese fortunato, perché ha pochi stretti e i suoi fiumi sono di modesta dimensione. Chissà che cosa accadrebbe se gli italiani abitassero territori pieni di stretti come la Grecia o il Giappone. E, saltando oltre oceano, mi sono chiesto come mai non ci siano ponti attraverso il corso principale del Rio delle Amazzoni (Fig.3). Ben nove ponti attraversano il Nilo solo nella capitale egiziana. Negli ultimi 30 anni sono stati completati più di cento ponti sul Fiume Azzurro; mentre il Danubio, lungo solo un terzo del Rio delle Amazzoni, è attraversato da 133 di ponti. Perché il Rio delle Amazzoni non ne ha tuttora?
Figura 3
Sicuramente l’enorme larghezza, la profondità e le fitte foreste pluviali tropicali che lo circondano sono uno dei motivi principali. Nel Rio delle Amazzoni, poi, non c’è la necessità di costruire ponti, giacché è il fiume a funzionare come una autostrada naturale, con barche, traghetti e navi mercantili che assicurano un trasporto efficiente di persone e merci. Per via delle immense dimensioni e della posizione remota dell’Amazzonia, costruire un ponte sarebbe straordinariamente costoso. E, sebbene le regioni vicine si stiano sviluppando — soprattutto con strade e infrastrutture come l’autostrada transamazzonica — il corso principale del Rio delle Amazzoni rimane orfano di ponti perché i costi supererebbero i benefici.
Anche se costruire un ponte sul Rio delle Amazzoni potrebbe sembrare una bella sfida ingegneristica, i ponti sono ritenuti inutili a causa dell’ampiezza del fiume, della sensibilità ambientale della regione, delle sfide logistiche e della disponibilità di altre forme di trasporto, come i traghetti. L’Amazzonia, invece, guarda al miglioramento delle infrastrutture in altre aree dove sono più fattibili e necessario allo sviluppo locale.
Sia Bolsonaro, nonostante qualche avventuroso proclama, sia Lula hanno imparato l’ABC, l’Analisi Benefici Costi. A me piace fantasticare che l’umanità si sia finora astenuta dall’asservire il Rio delle Amazzoni con un ponte per rispettare la sacralità delle acque del fiume più maestoso del pianeta.
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