‘Patenti’ agli influencer che parlano di salute e finanza: l’Occidente può imitare la Cina?

  • Postato il 29 ottobre 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 5 Visualizzazioni

di Gianluigi Perrone*

Fino a pochi anni fa, il panorama digitale cinese era una bolgia incontrollata. Chiunque, con un telefono e una buona dose di carisma, poteva costruirsi un seguito di milioni di persone e dispensare consigli su qualsiasi cosa, dalla finanza alla medicina, dalla legge alle diete dimagranti. Questa era dell’oro digitale, però, ha presto mostrato il suo lato oscuro: un proliferare di disinformazione, truffe e consigli potenzialmente letali che hanno spinto il governo di Pechino a intervenire con una delle regolamentazioni più severe al mondo per il settore degli influencer.

Nel ottobre 2025, la Cyberspace Administration of China (CAC) ha messo nero su bianco una circolare che ha fatto il giro del mondo: i creator di contenuti che operano nei settori di medicina, legge, finanza e istruzione devono obbligatoriamente dimostrare di possedere un titolo di studio o una qualifica professionale riconosciuta nell’ambito di cui parlano.

La norma non è un divieto generalizzato. Non riguarda la ragazza che recensisce rossetti o il giovane che fa videogiochi. Si applica specificamente a quelle che le piattaforme chiamano “aree YMYL” (Your Money or Your Life, “I tuoi soldi o la tua vita”), dove un’informazione errata può avere conseguenze devastanti. L’obbligo non è solo di avere un titolo, ma di esibirlo in modo trasparente sulla propria piattaforma e di citare fonti affidabili. Inoltre, è fatto divieto di fare pubblicità a prodotti medici e di impersonare professionisti senza esserlo. Oltre ad evitare che nei vari campi citati si creino danni di massa alla popolazione solo perché si è abili a manipolare l’algoritmo, il Partito Comunista Cinese punta a ripulire l’ecosistema digitale da ciarlatani serve a restaurare la fiducia dei cittadini non solo verso le piattaforme, ma anche verso le istituzioni e le professioni regolamentate. I social network come una cosa seria.

Accanto alle motivazioni di pubblica utilità, gli analisti ne individuano un’altra, più profonda: il controllo statale sul flusso delle informazioni. In campi sensibili come la legge, l’economia e l’educazione, il Partito preferisce che le narrative dominanti siano quelle ufficiali. Un influencer non qualificato che interpreta una legge in modo critico o che analizza l’economia con un angolo non allineato può diventare una fonte di “rumore di fondo” indesiderato. Verificare i titoli di studio significa anche, indirettamente, verificare l’affidabilità politica e l’allineamento di chi ha una vasta platea.

Sebbene la normativa non sia nata da un singolo evento, una serie di scandali ha creato il terreno fertile per il suo varo. Questi casi sono spesso discussi nei media cinesi come esempi della necessità di un intervento. Per la sanità, un ex venditore di pentole ha convinto dei malati di diabete a usare i suoi funghetti magici al posto dell’insulina, causando una ecatombe. Altri casi nell’approfondimento sul canale Youtube Genda Giada qui.

Molti creator seri e realmente qualificati hanno accolto la norma con sollievo. Finalmente, dicono, si fa giustizia e si distingue chi fornisce informazioni veritiere dai ciarlatani. Anche gran parte del pubblico si sente più al sicuro. Di contro, critici e attivisti per la libertà di espressione vedono nella norma un ulteriore strumento di controllo statale. Temono che, sotto la facciata della protezione, si celi il desiderio di zittire voci scomode, anche se competenti, che non si allineano perfettamente con le direttive del partito. Inoltre, c’è il timore che le piattaforme, nel dubbio, possano essere eccessivamente zelanti, censurando contenuti legittimi per evitare sanzioni.

La mossa della Cina rappresenta un esperimento sociale e normativo senza precedenti. È il tentativo più ambizioso a livello globale di “ingabbiare” il caotico mondo dell’influencer marketing, imponendo dei paletti etici e professionali in settori ad alto rischio.

Mentre l’Occidente dibatte ancora su limiti e responsabilità degli influencer, la Cina ha scelto una strada autoritaria. Il modello cinese diventerà un esempio da seguire per altri governi o un monito sulle derive del controllo statale? Non è sicuramente un’idea geniale imporre ai creator digitali di dimostrare le proprie competenze. Eppure i social media occidentali non lo fanno, e lasciano che la patente di esperto su letteralmente qualsiasi argomento vada a qualcuno che sa come gestire i metadati nel social media di turno.

Chiediamoci a chi giova la mediocrità dell’informazione, dell’istruzione, della conoscenza. A chi giova mantenere l’opinione pubblica in un perimetro che limita il dissenso e la comunicazione allineata con il potere all’interno di precisi paletti, senza poter scavalcare? A chi giova l’illusione di libertà di opinione? Il prossimo decennio ce lo dirà. Intanto, sul Douyin, il TikTok cinese, i nuovi “dottori influencer” mostrano con orgoglio i loro diplomi, mentre i ciarlatani sono costretti a cambiare mestiere. Il Far West, almeno in apparenza, è finito.

CEO di Polyhedron AI Studio/membro della AI Beijing Society/Host su Youtube per Genda Giada*

L'articolo ‘Patenti’ agli influencer che parlano di salute e finanza: l’Occidente può imitare la Cina? proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti