Onorevoli di Calabria: Pietro Mancini
- Postato il 7 ottobre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Onorevoli di Calabria: Pietro Mancini
Pietro Mancini è stato tra i fondatori del socialismo in Calabria e, prima del figlio Giacomo, il leader indiscusso del partito nella Regione.
Era nato in una famiglia di agiati professionisti e proprietari terrieri di Malito nel 1876 e nel 1901 si era laureato in Giurisprudenza a Roma. L’anno dopo aveva conseguito anche la laurea in Filosofia. E così, tornato in Calabria, aveva aperto uno studio legale destinato a una grande fortuna e iniziato a insegnare al Liceo Telesio, dove sarebbe rimasto fino al 1921, formando più di una generazione di giovani studenti.
All’università era stato allievo di Antonio Labriola, che lo aveva introdotto al pensiero di Marx. Nel 1904 matura quindi la decisione di iscriversi al Partito socialista italiano, ai cui ideali era vicino anche il padre. Il partito, però, all’epoca in Calabria era praticamente inesistente, schiacciato dalla presenza invadente del latifondo, che condizionava la libertà dei contadini, e dall’assenza di una classe proletaria industriale. In questo difficile contesto, la personalità di Mancini prende subito piede, grazie anche alla fortuna de “La Parola socialista”, organo del PSI di Cosenza, che fonda nel 1905. Due anni più tardi, è eletto consigliere comunale della città. Sarà anche Segretario perpetuo della storica Accademia cosentina e Vice Presidente dell’Istituto case popolari.
All’indomani della Grande Guerra, con l’esplosione delle tensioni sociali, è in prima linea nella battaglia per l’occupazione delle terre e per l’emancipazione dei contadini. Dopo alcuni scontri interni al partito che portano alla non presentazione delle liste nel 1919 e addirittura ad una sua espulsione durata in verità assai poco, Mancini riprende saldamente in mano la guida del PSI calabrese e nel 1921 viene eletto deputato. Avrebbe confermato il seggio anche nel 1924, raccogliendo nella città di Cosenza più preferenze del quadrumviro Michele Bianchi.
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Con l’affermarsi della violenza fascista, è da subito oggetto delle attenzioni tanto della polizia, che lo definiva pericoloso per l’ordine pubblico, quanto delle squadre di picchiatori, che una volta cercano addirittura di buttarlo giù dal treno tra Catanzaro e Cosenza. Contrario all’esperienza dell’Aventino, viene comunque dichiarato decaduto da deputato e mandato al confino a Nuoro. Ottiene tuttavia ben presto di poter tornare a Cosenza, dove riprende con fortuna l’attività professionale e riesce ad astenersi dalle elezioni-plebiscito del 1929. Subisce però un nuovo breve periodo di confino, questa volta a Gaeta, per poi interrompere ogni attività politica ufficiale nel corso degli Anni Trenta.
Alla caduta del fascismo, emerge subito come una personalità di rilievo nazionale, prendendo contatti con Pietro Nenni e adoperandosi per la rifondazione del partito. Scontati due giorni di carcere che servono ad impedirgli di partecipare a manifestazioni pubbliche contro il regime caduto, all’arrivo degli Alleati a Cosenza è nominato Prefetto su indicazione degli antifascisti della città. Nel secondo Governo Badoglio, il primo con la partecipazione dei partiti, è Ministro senza portafoglio, per poi passare con Bonomi ai Lavori pubblici ed essere eletto vicepresidente della Consulta nazionale.
Alle elezioni per l’Assemblea costituente è il più votato dei socialisti con oltre 16 mila preferenze. Entra nella Commissione dei Settacinque, incaricata di redigere lo schema della Costituzione. I suoi interventi si concentrano sui rapporti tra Stato e Chiesa, sul diritto di sciopero e sull’indipendenza della magistratura. Farà parte anche nella Direzione nazionale del partito.
Nella prima legislatura repubblicana, diviene senatore di diritto, lasciando così campo libero alla Camera dei deputati al figlio Giacomo. Nel 1964 gli arriva la nomina a Giudice costituzionale aggiunto. Sarebbe infine morto a Cosenza nel 1968.
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