Nelle Regioni il Presidente accentra i poteri: alcune proposte per ridare centralità alle assemblee
- Postato il 17 settembre 2025
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di Francesco Miragliuolo
Le imminenti elezioni regionali mettono in evidenza la profonda degenerazione derivante dal progressivo svuotamento delle assemblee elettive, ormai ridotte a un ruolo marginale, a fronte del crescente protagonismo del Presidente della Giunta regionale. Un fenomeno che si è consolidato negli ultimi 25 anni e che ha modificato in profondità l’equilibrio tra organi assembleari ed esecutivo. Non a caso, anche il linguaggio giornalistico ha contribuito ad accentuare tale squilibrio, definendo impropriamente il presidente “Governatore”, con un richiamo fuorviante alla figura del Governor statunitense, dotato di poteri autonomi e sovrani che non appartengono al Presidente della Giunta regionale italiana.
Con la legge costituzionale n. 1 del 1999, che ha inciso sugli articoli 121 e 122 della Costituzione, si è aperta la strada alla cosiddetta “presidenzializzazione” delle Regioni, salvo diverse previsioni statutarie. Da quel momento si è determinato un marcato accentramento di poteri nelle mani del Presidente. Le leggi elettorali regionali hanno introdotto premi di maggioranza molto ampi, talvolta tali da garantire al Presidente e alla sua coalizione fino al 60-65% dei seggi consiliari: un meccanismo che comprime la rappresentanza, riduce la pluralità e rafforza una logica plebiscitaria.
A ciò si aggiunge il principio del simul stabunt, simul cadent, per cui lo scioglimento del Consiglio regionale consegue automaticamente alle dimissioni, alla rimozione o alla sfiducia del Presidente, scoraggiando i consiglieri dal ricorrere a questo strumento poiché ne deriverebbe anche la cessazione del loro mandato.
Un ulteriore elemento è rappresentato dall’uso del potere regolamentare della Giunta, che – come ha osservato Alberto Lucarelli – si colloca in una zona grigia fra potestà legislativa, autonomia statutaria e decentramento amministrativo, consentendo all’esecutivo regionale di espandere il proprio raggio d’azione a scapito dell’assemblea. In questo quadro il Presidente non solo nomina e revoca liberamente gli assessori, rafforzando la sua posizione di capo politico dell’esecutivo, ma condiziona anche la sorte del Consiglio, la cui permanenza dipende direttamente dalla sua.
A consolidare questa dinamica contribuisce l’incapacità degli istituti di democrazia partecipativa di incidere realmente. Strumenti come il referendum regionale o l’iniziativa legislativa popolare, pur formalmente previsti dagli Statuti, si rivelano spesso inefficaci, sia per regolamenti incompleti sia per la possibilità delle maggioranze consiliari di rinviarne l’esame. Emblematico è il caso della Campania, dove la proposta di legge “Rigenera”, presentata con oltre 13mila firme, è rimasta bloccata in Commissione senza mai approdare in aula: una vicenda che mostra come persino un’iniziativa popolare ampiamente sostenuta possa essere neutralizzata dalle procedure, confermando la marginalità tanto dell’assemblea quanto della cittadinanza organizzata rispetto alla centralità del Presidente.
Per riequilibrare questo assetto, la dottrina – in particolare Lucarelli – ha avanzato alcune proposte: rafforzare il ruolo dei Consigli, imponendo tempi certi per la discussione delle iniziative popolari e riducendo i premi di maggioranza; rendere effettivi gli strumenti di democrazia diretta, introducendo referendum approvativi, bilanci partecipativi e consultazioni vincolanti; limitare l’espansione del potere regolamentare delle Giunte, riportandolo entro confini chiari fissati dalla legge e dallo Statuto. Lo stesso Statuto campano prevede istituti di partecipazione, ma l’assenza di norme di attuazione li rende inoperanti, accentuando lo scollamento fra regole formali e realtà politica.
In questa prospettiva, la vera sfida politica, soprattutto per il centro-sinistra nelle imminenti elezioni, è quella di restituire centralità alle assemblee e rilanciare il ruolo dei partiti, così da contrastare la personalizzazione del potere e ricostruire un tessuto democratico più rappresentativo e partecipato.
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