Nasce a Palermo la Fondazione RIV. Intervista alla presidente Patrizia Monterosso

Arriva in una fase di particolare disorientamento e di incontrastata fiacca. Forse una di quelle fasi pericolose in cui al vuoto si accompagna la rassegnazione. RIV, neonata fondazione per l’arte contemporanea, irrompe sulla scena palermitana promettendo di agitare le acque, di spezzare l’afasia e l’apatia di un momento storico-politico difficile: la città – come molte altre città siciliane – non ha uno straccio di progetto culturale all’orizzonte, nessuna strategia per generare sviluppo, dibattito, ricerca, nessuna programmazione di qualità, nessun’idea di quale identità perseguire per i propri spazi museali. Né esiste l’effettiva percezione di quanto sia urgente garantire, a livello locale e regionale, adeguate riforme, iniziative e risorse a supporto di un sistema dell’arte e della cultura praticamente agonizzante. Le eccezioni, come sempre, restano meritevole conquista della singola persona, della specifica volontà o favorevole occasione. Una città, Palermo, che dà l’idea di sopravvivere a sé stessa. Paradigma di una condizione ben più estesa, con sconfortanti picchi di desolazione registrati in tutta l’isola.

La Fondazione RIV affiora in questa calma stagnante, con la sua visione del luogo e del mondo. E mentre altrove si rispolvera la solita retorica sulla “bellezza” – perfetta per il carro pittoresco del festino di Santa Rosalia, per la narrazione compiaciuta su un centro storico a misura di turismo di massa o per la litania dei murales che riqualificano le periferie – qui si parla di progetti nativi, di dibattito intellettuale, di qualità, incisività e ispirazioni internazionali. Una dichiarazione d’intenti, al momento: il tempo darà risposte sul fronte della concretezza e sulla reale, auspicata capacità di proporre modelli in grado di alzare un po’ il livello generale.

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Patrizia Monterosso

Chi è Patrizia Monterosso

A dare l’impulso è una donna, Patrizia Monterosso, per anni figura chiave dell’amministrazione regionale, personalità forte, abitudine alla leadership e obiettivi chiari. Laureata in Filosofia all’Università di Palermo, dove è stata per diversi anni ricercatrice, colleziona ruoli in realtà culturali ed economiche siciliane, dai Cda del Teatro Biondo, di Cinesicilia e dell’Università Kore, alla vicepresidenza dell’Orchestra Sinfonica Siciliana e poi dell’Irfis. Intanto approda come dirigente in Regione, tra l’assessorato ai Beni culturali e alla Pubblica istruzione e quello al Lavoro e alla Formazione. Una carriera che la porta a diventare Segretaria Generale, posizione strategica e di grande peso, al fianco di due Presidenti di Regione: prima Raffaele Lombardo, subito dopo Rosario Crocetta. Nel 2017, con il governo Musumeci, lascia il ruolo a Maria Mattarella e ottiene la direzione della Fondazione Federico II, braccio culturale dell’Assemblea regionale siciliana, presieduta in quella fase da Gianfranco Micciché. Anni in cui, in effetti, la fondazione vive un periodo di concreto rilancio. Conclusa nel 2024 anche quest’esperienza, Monterosso cambia tutto. Fuori dai palazzi, lontana dalla politica e dalla burocrazia, torna alla sua passione per la cultura, per il pensiero, per l’arte. E riparte. Così inizia a costruire una maglia di collaborazioni, convinta della forza dei progetti corali e della debolezza dell’autoreferenzialità.

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Spazio Umano, Palermo 2025, exhibition view. Da sx Alberto Scodro, Tony Cragg, Hans Schabus

“Spazio umano”, la mostra di debutto di RIV

La prima mostra è allestita nella splendida chiesa cinquecentesca di San Mamiliano, ricostruita dopo le bombe del ‘45, oggi messa a disposizione dalla Curia. Spazio umano è una collettiva di 12 artisti in dialogo con un contesto incantevole, ripensato da un’illuminazione drammatica che accarezza nell’ombra il trionfo di marmi, stucchi e intagli, i preziosi arredi liturgici, la Cappella della Madonna del Rosario, la tribuna e l’arco scolpiti dal Gagini, lasciando emergere dipinti, sculture, video e installazioni con display contemporanei e luci direzionali.

Da Urs Lüthi a Hans Schabus, da Francesco De Grandi a Mimmo Paladino, da Alberto Scodro a Tony Cragg, e ancora Adalberto Abbate, Rabih Mroué, Dala Nasser, Francesco Lauretta, Francesco Balsamo, Aziz Hazara: una compagine ben assortita di immaginari e di sensibilità, per un racconto dedicato alle fragilità e ai conflitti del presente, a cui contrapporre un umanesimo resiliente e nuovo. Sottratta a una diffusa funzione decorativa e celebrativa, l’arte rivendica qui la propria fondatezza nel presente, che è teatro di guerre, di tensioni geopolitiche e di presagi apocalittici, di contraddizioni sociali esacerbate, all’acme del modello capitalista; ma che è anche un tempo di civiltà, di progresso, di spiritualità, di cultura del diritto e della cooperazione tra popoli. La coscienza dell’opera come dispositivo di senso, come opportunità di spostamento prospettico e di riflessione collettiva, è in sé una premessa felice.

L’intervista a Patrizia Monterosso. La Fondazione

A colei che siede in cabina di regia abbiamo fatto alcune domande, per capirne di più. Partendo dalla Fondazione e arrivando a lei, che sull’onda di un’intuizione, oltre che di un’esigenza personale, ha costruito l’occasione e ne ha fatto una realtà. Lavorando in squadra.

Quando e perché si concretizza l’idea di dar vita a una fondazione per l’arte contemporanea?
Non c’è stata una data precisa: la Fondazione è il prodotto di un processo lungo, durato più di un anno. Potrei aggiungere che alla base ci sono scelte e percorsi di maturità che hanno caratterizzato questa fase della mia vita: è una determinazione che ho ritenuto imprescindibile per continuare a dare una direzione coerente al mio impegno personale. Il che significa restare a disposizione – a prescindere dagli incarichi pubblici o privati – di coloro che contribuiscono alla riscrittura del presente. Gli artisti innanzitutto, i quali rappresentano uno stimolo per riflettere sulle fratture sociali e culturali odierne.
L’urgenza è opporre resistenza all’anestesia emotiva e alle storture che caratterizzano la società del nostro tempo. E qui veniamo al “perché “. Sono le condizioni sociali e gli effetti della globalizzazione a imporre una scelta. Ognuno per la propria parte dovrebbe mettere a disposizione esperienza e visione per creare spazi di salvaguardia della cultura, in quanto mezzo per costruire un futuro più umano e più empatico. Da qui il bisogno di dare voce agli artisti, alle opere, ai critici, ai teorici, ai giornalisti di settore, perché attraverso la loro visione possa essere alimentato il dibattito e possano essere elaborati nuovi percorsi di costruzione. 

Premesse importanti e un’ambizione che sembra genuinamente intellettuale. Il che è un’ottima notizia. Ma nel concreto, come ci proverete?
Difendendo gli artisti che palesano scenari di convivenza e di edificazione possibile. E che hanno accettato la complessità della società, per porre interrogativi e soluzioni. La Fondazione si occuperà di promozione e valorizzazione, tra mostre, residenze, incontri. Nella consapevolezza, anche, che non esiste costruzione culturale che non sia anche civica e sociale. È importante che le realtà attive nel sociale e nella cultura maturino una maggiore coscienza della propria mission e del proprio ruolo. Il che coincide, per altro, con quanto prescrive l’Agenda ONU 2030.

Chi sono i partner di RIV e da dove arrivano le economie per sostenersi?
Credo non occorra mai definire in modo chiuso e concluso i partner che una fondazione culturale può incontrare lungo il cammino. RIV nasce dall’esigenza di generare coesione sociale e crescita: sono e potranno essere partner coloro che condividono il senso del progetto. È iniziato quindici mesi fa un lungo ragionamento con altre fondazioni, che hanno unito le loro forze e le loro risorse, e con curatori e professori universitari impegnati nel campo dell’arte contemporanea, che con determinazione stanno offrendo il loro impegno. Sarà poi dedicata particolare attenzione ai bandi del Ministero per le progettualità sull’arte e la creatività contemporanea.
Questa prima mostra è la risultante di un processo di condivisione e di confronto su alcuni punti focali, nonché del lavoro di un board curatoriale diffuso, portatore di esperienze e di impegno nel tempo, da un’idea mia e di Gianluca Collica, in sinergia con Alberto Salvadori, Cesare Biasini Selvaggi, Emanuela Lambion. La Fondazione Brodback, la Fondazione Oelle di Catania e la cooperativa sociale Pulcherrima Res sono stati propulsori fondamentali per questo avvio. Ma guai a pensare che non ci siano soprattutto gli artisti, i collezionisti e i galleristi tra i partner del progetto. 

Il progetto culturale come viene costruito? Che modello di lavoro avete immaginato?
Il modello è basato sull’assenza di cliché ed è una reazione decisa alle mostre blockbusters o “pacchetto”. Focalizzandoci su aspetti salienti del nostro tempo sarà elaborato ogni progetto culturale, partendo dal confronto e dalla ricerca. Sta a noi valorizzare, ossia andare oltre la narrazione, per generare testimonianze e riflessioni. Le opere esprimono energia vitale, proprio perché nascono dal dialogo tra gli artisti e il mondo.  Ne inglobano le tensioni, le verità scomode e la proiezione oltre l’orizzonte imposto.

La sede, la prima mostra e i valori di RIV

La sede espositiva, la bellissima chiesa di San Mamiliano, appartiene alla Curia. Come mai questa scelta? Prevedete un approccio nomade, con altre sedi, magari su scala regionale?
Il Vaticano ha lanciato straordinari messaggi di dialogo con gli artisti contemporanei, ancor prima del Giubileo. L’arte, del resto, è da sempre alleata della spiritualità. E con Papa Francesco la Chiesa ha riavviato un dialogo con gli artisti contemporanei, dunque con lo spirito del tempo, proprio perché l’obiettivo primario a cui guardare è l’uomo, il mondo con le sue lacerazioni, le grandi ferite generate dalla regressione democratica.
Il Vaticano sta dimostrando, dal mio punto di vista, una capacità di attenzionare anche la spiritualità laica, per salvaguardare la dimensione umana come premessa di un dialogo introspettivo e comunitario. Il padiglione della Santa Sede alla Biennale d’arte di Venezia è espressione di un modello che è valore aggiunto per tutti. 
Venendo al contesto locale, l’Arcidiocesi di Palermo, con l’Arcivescovo Corrado Lorefice e con Monsignor Giuseppe Bucaro, da tempo profonde un grande impegno in questa direzione. Ci sono varie esperienze sul territorio che stanno dando valore al recupero del dialogo tra arte contemporanea e spiritualità religiosa. La Fondazione RIV auspica ulteriori collaborazioni, a partire da diversi luoghi del sacro e dalla sacralità umana.

“Spazio umano” è un titolo che ha l’aria di essere una dichiarazione d’intenti. Una filosofia, una direzione.
Lo “spazio umano” è il nostro primario interesse, certo. Non solo un titolo. È quanto va recuperato per generare azione reciproca e costruzione collettiva. RIV nasce con la messa a terra di una prospettiva, concretizzatasi in questa prima mostra: lo “spazio” è luogo di riflessione, di testimonianza, di confronto. La mostra propone dodici visioni dell’uomo e delle inquietudini del nostro tempo, in cui l’essere umano non può essere considerato “un corpo escluso o appaltato”, sottoposto a uno straniamento dal mondo e da sé stesso. 

Un’arte che costruisca comunità, responsabilità sociale, coscienza delle cose. Quanto tasso di utopia c’è in tutto questo?
La globalizzazione ci ha dato l’illusione di potere espandere le nostre identità nello spazio-mondo. Al contempo abbiamo dimenticato la dimensione della comunità e della condivisione all’interno di uno stesso territorio. La forza dei progetti cammina certamente sulle gambe di uomini e donne, ma anche su presupposti diversificati che divengono presupposti comuni. Mille voci e mille energie servono a rafforzare le priorità di una cultura che deve generare soprattutto valore aggiunto per le comunità operanti. Le prospettive offerte dell’arte e della creatività contemporanea corrispondono a questa capacità di andare oltre la limitatezza dei singoli orizzonti. Contemporaneo vuol dire anticipatore. E in fondo “utopia” significa anche stimolo a non fermarsi, a procedere nonostante tutto.

chiesa di san mamiliano pieta quattrocentesca attribuita a giorgio da milano Nasce a Palermo la Fondazione RIV. Intervista alla presidente Patrizia Monterosso
Chiesa di san Mamiliano, Pietà quattrocentesca attribuita a Giorgio da Milano

Patrizia Monterosso e lo sguardo sulla Sicilia

Che piazza è oggi Palermo e a che ruolo ambisce RIV?
Esistono mille verità e mille punti di vista su Palermo e sulla Sicilia. Questo vale per ogni territorio. Va ricordato che la Sicilia è lo spazio storico, oltre che geografico, di una convivenza tra popoli che ha generato cultura e civiltà. È stata terra di sperimentazione culturale, linguistica e artistica. Possiamo e dobbiamo perseverare nell’idea che musei, teatri, luoghi cultura – sia privati che pubblici – debbano permanere come “spazi vivi” di significazione. 

Lei è stata ed è una donna di potere, che del sistema ha conosciuto vizi e virtù, ombre e luci. Cosa ha significato (nel bene e nel male) gestire un potere forte per anni e che peso ha oggi per lei questa parola?
Potremmo parlare per giorni di cosa sia, in realtà, il potere. Mi piace dire che dovremmo imparare a definire il potere come garanzia di uno spazio libero di partecipazione. Il linguaggio è segno dei tempi, la radice del significato delle parole non va mai modificata.  Proviamo allora a usare la parola “potere” nel senso di “potere fare”. I ruoli corrispondono a funzioni, le funzioni corrispondono a obiettivi da perseguire. Se si raggiungono obiettivi che permangono come risultati concreti nel tempo, a prescindere dalla nostra permanenza in un determinato ruolo, significa che siamo stati efficaci, e allora forse il lavoro svolto può godere di un certo prestigio. Altra cosa è se, nonostante gli sforzi impressi, la disattenzione di altri determina il dissolvimento dei risultati raggiunti. Mi piace ricordare quello che ho potuto fare e che sono riuscita a fare. Ho rammarico per ciò che avrei potuto continuare a realizzare. 

Ha vissuto a lungo l’amministrazione regionale, con tutte la falle e le inefficienze che conosciamo. Cosa ha capito di questa arretratezza, delle cause di questo deficit?
È una domanda che meriterebbe non una risposta, ma un dibattito organizzato con persone appassionate come lei. 

Di persone appassionate ce ne sono tante, di occasioni di dibattito quasi nessuna. Da RIV possiamo aspettarci una sana politica culturale della discussione pubblica, al di là dei buoni propositi? Il cambiamento viene anche e soprattutto da qua.
Non c’è resistenza allo status quo né costruzione senza dibattito. Mi viene in mente mia nonna materna, che mi riportava spesso i ricordi della mia bisnonna a proposito di una grande pandemia che aveva messo in ginocchio il pianeta; e che mi parlava della Seconda Guerra mondiale, delle squadre della morte, delle camere a gas. E aggiungeva: “ciò che di positivo era rimasto nel mondo, non si arrese mai”. Anche il mondo della cultura, che aveva conosciuto l’asprezza della censura, la dittatura, le purghe intellettuali, si rialzò. E riscrisse una nuova visione della scienza, dell’arte, della letteratura, dell’economia. Questi esempi eclatanti devono darci la forza di cambiare i nostri schemi obsoleti e di perseguire una trasformazione del mondo attraverso progettualità esecutive, non vaghi propositi. Partendo proprio da un rapporto nuovo e collaborativo tra Stato e territori.

spazio umano palermo 2025 exhibition view 2 Nasce a Palermo la Fondazione RIV. Intervista alla presidente Patrizia Monterosso

In definitiva, c’è speranza per quest’isola? Se lo chiedesse lei a me forse le direi di no. Ma sarei lieta di sentire un parere meno spietato, purché sincero.
Alcuni pensano che si possa fare a meno della cultura e dell’arte, le quali non generano né economia né sviluppo. Nonostante ciò, io e lei ci ritroviamo ugualmente a parlare qui a sia di arte che di cultura. Possiamo pur essere pessimisti, ma questo non ci esime dall’impegno e non ci vieta di avere passione per ciò di cui ci occupiamo. 

Dal lavoro nelle istituzioni a questo impegno full time nell’arte e nella cultura: si sente più libera?
La libertà la portiamo dentro di noi e solo se la nutriamo ne preserviamo le esternazioni. L’educazione alla libertà va alimentata attraverso azioni concrete di salvaguardia e difesa di noi stessi e di coloro che, meglio di noi, esprimono la forza creatrice della libertà stessa. Riv del resto ha assunto fin da subito una posizione non neutra, di dichiarazione su ciò che non va accettato e ciò che va affrontato. Una forma di libertà sostanziale.

Ha rimpianti? Rimorsi?
Ogni esperienza e ogni ruolo ricoperto sono stati importanti per la mia crescita professionale e hanno portato con sé, talvolta, grandi amarezze. Le quali, però, non hanno mai tolto la bellezza di aver creduto in ciò che facevo, insieme a collaboratori e dipendenti capaci che meritano la mia stima. Certo, ogni esperienza ha consentito di ampliare lo spazio di analisi. Questa è una grande opportunità che la vita mi ha riservato. In ogni caso, sono convinta che occorra riconvertire le amarezze in energia per fare meglio, a prescindere – ripeto – da incarichi e ruoli: nella vita non dobbiamo darci l’alibi dei ruoli. Se li ricopri, puoi fare certamente di più. Se non ne ricopri, l’impegno rimane comunque. La Fondazione Oelle di Ornella Laneri e la Fondazione Brodbeck di Paolo Brodbeck, in tal senso, sono stati per me modelli, accanto ad altri da lodare e da seguire. 

Ci sono delle opere che la accompagnano simbolicamente e che incarnano il senso di queste sfide?
Mi capita spesso di pensare a opere che indicano la memoria delle atrocità e la speranza della rinascita. È questo il focus, per me. Penso alla deflagrazione del mondo e dell’uomo nelle opere di Kiefer, alla spinta verso la rigenerazione dei cretti di Burri. Penso all’inquietudine sferzante di Black Supper di Andreas Serrano, contro le violenze e le censure del mondo contemporaneo. Oppure alla grande riscrittura delle Quattro stagioni di Vivaldi offerta da Max Richter. Esempi per racchiudere un mio pensiero: mai perdere l’istinto per la ricostruzione. Guardando oltre i mali e le lacune della società.

Helga Marsala




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Artribune

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