Mezzo milione di lavoratori extracomunitari in Italia in tre anni: non è meglio regolarizzare prima chi è già qui?

  • Postato il 8 luglio 2025
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Il governo italiano, cedendo ancora una volta alle pressioni delle grandi imprese e del capitalismo italiano, ha annunciato un nuovo decreto flussi che prevede l’ingresso di circa mezzo milione di lavoratori extracomunitari nei prossimi tre anni. Un numero significativo, che supera di circa 50.000 unità quello previsto per il triennio 2023-2025.

È evidente un cambio di rotta da parte di alcuni partiti che compongono la maggioranza di governo. Gli stessi che, fino a ieri, gridavano slogan come “Prima il lavoro agli italiani” o “Prima gli italiani”, oggi sembrano muoversi in tutt’altra direzione.

Sia chiaro: non siamo contrari all’ingresso di stranieri nel nostro Paese. Al contrario, crediamo che ogni persona debba poter entrare liberamente, non come forza lavoro necessaria al sistema produttivo stabilito da un decreto, ma in quanto essere umano, titolare di diritti e dignità. Ridurre l’ingresso in Italia alla sola funzione lavorativa significa continuare a piegare la politica migratoria agli interessi economici, ignorando le persone nella loro interezza, la loro umanità.

La domanda che sorge spontanea è: perché prevedere l’ingresso di un numero così cospicuo di persone con una media di 150.000 l’anno, quando nel nostro territorio vive già un numero altrettanto rilevante di persone che da anni attendono di essere regolarizzate?

Parliamo di persone che, a differenza dei nuovi arrivati, parlano già la nostra lingua. Parliamo di cittadini irregolari che, in larga parte, lavorano già – molto spesso in nero -, con anni di esperienza maturata nei luoghi di lavoro. A differenza dei nuovi ingressi, che invece avranno bisogno di tempo per formarsi e ambientarsi. Queste persone vivono da anni sul territorio, sono parte integrante del nostro tessuto sociale, conoscono i nostri usi, costumi.

Fare politica significa, o dovrebbe significare, risolvere i problemi in modo pragmatico mettendo da parte ideologie e strumentalizzazioni.

Ciò che sarebbe opportuno fare è affrontare l’esistente e sanare le situazioni di irregolarità presenti oggi nel nostro Paese. Se la parola sanatoria pone resistenze o potrebbe creare imbarazzo allora troviamone un’altra, ma ciò che conta è partire dai principi e da ciò che è più utile e necessario per l’Italia: togliere i tanti, tantissimi immigrati dall’irregolarità, dallo sfruttamento, dalle reti della criminalità e, soprattutto, dal caporalato. Diamo, invece, la possibilità ai datori di lavoro di sanare i rapporti di lavoro, recuperiamo l’evasione che ne deriva, facciamo sì che i lavoratori contribuiscano al pagamento delle tasse e quindi allo sviluppo per il loro bene e dell’Italia.

Partiamo quindi dalla regolarizzazione dei migranti e poi successivamente potremmo affrontare la questione dei nuovi flussi di ingresso.

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Il Fatto Quotidiano

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