L’ultimo oltraggio subito da Nino Agostino e Ida Castelluccio è ingiusto e disumano
- Postato il 5 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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L’ultimo oltraggio subito da Nino Agostino, agente di Polizia, e da sua moglie Ida Castelluccio, assassinati il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, è stato l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna soltanto nella parte che riguardava Ida, ad opera della Cassazione.
Disumano come separare in morte Giovanni Falcone da sua moglie Francesca Morvillo, ingiusto come ritenere che avendo deciso di ammazzare Nino Agostino in quel luogo e in quel giorno (il diciottesimo compleanno della sorella Flora), i killer mafiosi non avessero messo in conto di trovarlo accompagnato dalla moglie, determinandosi a fare fuoco ugualmente.
Ingiusto come ritenere che assassinare anche Ida non abbia rappresentato un insindacabile vantaggio per Cosa Nostra che ha così tolto di mezzo una testimone scomoda perché forse sapeva qualcosa di troppo, perché forse aveva riconosciuto chi stava sparando. Ingiusto come se averla costretta ad assistere all’omicidio di suo marito e averla quindi trafitta con un colpo al cuore, mentre cercava di mettersi in salvo e salvare la creatura che portava dentro di sé, non sia stato sommamente crudele oltre che letale. Come può finire prescritto per assenza di premeditazione e di ogni altra aggravante un femminicidio del genere?
Ma tant’è: così ha sentenziato il 30 gennaio di quest’anno la Suprema Corte. Lo Stato ha dunque perso ufficialmente ogni interesse a fare giustizia su una vittima innocente della violenza mafiosa. La vittima più indifesa e vulnerabile: una giovane donna, al quinto mese di gravidanza, che ha condiviso ogni respiro col proprio con-sorte. Letteralmente.
Mai invece dovrebbe prescriversi l’interesse dello Stato a fare luce su questo fatto che, insieme al fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone (il 21 giugno di quello stesso anno) e all’assassinio di Emanuele Piazza, collega di Nino, pochi mesi più tardi, segnala l’inizio del grande terremoto che tra il 1989 e il 1994 ha sconquassato le più consolidate strutture di potere nel nostro Paese, scavando un solco incolmabile tra salvati e sommersi. Strutture di potere profondamente radicate nello Stato, distinte e in competizione tra loro, forti di alleanze indicibili con organizzazioni criminali e organizzazioni paramilitari illegali.
Il terremoto, scatenato dalla vittoria sulla Unione Sovietica, dal disvelamento di Gladio (da parte di Giulio Andreotti, presidente del Consiglio, in risposta ad una interrogazione parlamentare di Luciano Violante, ottobre 1990), da Mani Pulite e dalla sentenza definitiva del “Maxi”, ha schiacciato molte vite, vite che stando proprio sul bordo del crepaccio avevano visto cosa ci fosse sotto oppure vite inconsapevoli, sacrificate sull’altare della guerra necessaria a fare poi la pace.
I “salvati”, scampati al terremoto dopo essersi ripuliti da polvere e calcinacci, hanno ottenuto per il loro silenzio denaro e impunità, annidandosi per lo più nuovamente dentro gangli importanti dello Stato e del “privato” che conta, beneficiando dello schema già collaudato dopo il 1945 con i fascisti che erano troppi e troppo utili alla continuità istituzionale per essere allontanati per davvero.
Nessuno stupore dunque per quello che sta facendo questo governo, per quello che non sta facendo la Commissione parlamentare antimafia, per ciò che la presidente Meloni non riesce a dire parlando della strage di Bologna. Questo era e resta il Paese “dell’armadio della vergogna”.
Su cosa baso questa iperbole argomentativa? Sull’indiscutibile depistaggio messo immediatamente in moto da rappresentanti istituzionali dopo l’eccidio di Villagrazia di Carini: la “freca di carte” portata via dall’armadio di Nino, sotto gli occhi attoniti della sorella Flora, le foto segnaletiche mostrate con insistenza a Vincenzo Agostino, il papà di Nino, perché riconoscesse come possibile autore del crimine proprio un certo Vincenzo Scarantino, che poi tanto sarebbe tornato utile cinque anni dopo per impalcare “il più grande depistaggio della storia repubblicana”, la immancabile pista passionale.
Giustizia vorrebbe che il depistaggio fosse considerato reato permanente fintanto che il depistaggio stesso non termini con il ripristino della verità, dunque imprescrittibile tanto più se attivato per favorire Cosa Nostra. Giustizia vorrebbe, non so se anche la legge.
Chissà se, stufo di correre a nascondersi, Giovanni Aiello, a suo tempo agente di Polizia e dei Servizi, sospettato di avere avuto un ruolo e riconosciuto senza esitazioni da Vincenzo Agostino in un drammatico confronto nell’aula bunker di Palermo (al quale partecipai) come “Faccia di mostro”, non avrebbe infine deciso di vuotare il sacco, se non fosse tempestivamente e improvvisamente morto sul litorale calabrese nell’agosto del 2017.
Cara Augusta, caro Vincenzo: non avete avuto giustizia in vita, pur avendola cercata con dignità e forza per oltre trent’anni. Almeno vi siete risparmiati questo oltraggio infame, che pesa però sulle spalle di chi resta e con coraggio ha preso il testimone dalle vostre mani.
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