A Gaza siamo di fronte all’arbitrio supremo: così l’Occidente si autodistrugge
- Postato il 7 agosto 2025
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di Geminello Preterossi, direttore de LaFionda
Se è vero che a Gaza i civili (donne, vecchi e bambini) sono scientemente tenuti dal governo israeliano (dalle sue milizie e dai suoi contractors che si sono impadroniti degli aiuti umanitari internazionali) a languire senza cibo né acqua, o peggio vengono impallinati mentre sono in fila per un po’ di farina, è evidente che si è superata la soglia estrema. Siamo di fronte all’arbitrio supremo, e proprio per questo tanto casuale quanto smisurato, sulla vita e sulla morte. Il corpo altrui alla mercé di un gioco aberrante. Perché?
Bisogna chiedersi cosa scatta. Probabilmente intervengono una serie di moventi, più o meno consapevoli: gusto sadico, incutere terrore, de-umanizzare (come ha ben spiegato Primo Levi in I sommersi e i salvati). Del resto, ad Abu Ghraib e a Guantanamo il “civile” Occidente alla deriva dopo l’ubriacatura post-1989 aveva già dato prova della sua “superiore” credibilità. Il punto è sempre lo stesso: il nazismo ci appartiene.
E oggi appartiene innanzitutto al governo israeliano, che con la scelta di occupare Gaza, in spregio di tutto, getta definitivamente la maschera e afferma la propria pretesa totalitaria al diritto del più forte. L’ideologia globalista occidentale si compie, e collassa moralmente, con l’affermazione della più bieca logica di potenza sugli oppressi e gli inermi. Netanyahu è il fronte più avanzato ed estremo di questo Occidente inferocito che cerca ad ogni costo lo scontro di civiltà e non può neppure concepire di non inglobare tutto. Israele è l’avanguardia che opera con la complicità lucida e perfettamente consapevole dei neocon/dem americani (due correnti dello stesso partito) e quella accecata di un’Europa senza bussola, cinica e impotente.
Nel diritto primitivo emerge il nesso originario diritto-violenza. Questo vuol dire che il diritto è violenza? No. Faticosamente, diviene strumento di civilizzazione. Ma per farlo, ha bisogno della forza (“civilizzatrice”). Per questo sostenere che è altro dalla forza/violenza, che può fare a meno dell’organizzazione della forza, che la guerra è interruzione della pace (la quale quindi non sarebbe, quale invece è, una precaria costruzione politica e istituzionale), che l’ordinamento si dà quasi da sé, spontaneamente, e non ha bisogno dello stabilimento di un ordine previo, significa fare ideologia e compromettere la comprensione del fenomeno giuridico. Così come, peraltro, quando lo si riduce a mero epifenomeno della violenza.
Ma quando si ritorna al “primitivo”, in un contesto in teoria civilizzato, oltretutto pretendendo di incarnare democrazia e Stato di diritto, il segnale è estremamente inquietante: non solo perché annuncia e sdogana prassi che reintroducono uno stato di natura di fatto, foriero di derive esponenziali, ma perché così si genera assuefazione, abitudine al male, indifferenza. D’altra parte, il “doppio standard” è costitutivo dell’occidentalismo globalista e neoliberale.
Il male radicale è quasi intrattabile, e per questo sembra sempre sfuggirci: per quanto ci si possa appellare a cause storiche e a dinamiche del profondo, c’è sempre un’insondabilità che non si lascia esaurire. Ma ciò non toglie che, per quanto sia abissale, possa essere banalizzato. È quello che sta avvenendo a Gaza. Infierendo sugli inermi, legittimando la “negazione” del popolo palestinese (ben oltre l’oppressione), per responsabilità diretta o per complicità l’Occidente si autodistrugge.
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