L’Onu parla ufficialmente di genocidio a Gaza: siamo a un punto di non ritorno
- Postato il 20 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Questa settimana è accaduto qualcosa che, almeno sul piano giuridico e dialettico, cambia radicalmente la definizione del conflitto a Gaza: per la prima volta un organismo dell’Onu, la Commissione d’Inchiesta Indipendente delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati, ha stabilito in modo inequivocabile, senza i soliti “probabile” o “credibile”, che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza.
La Commissione, incastonata nel Consiglio dei Diritti Umani (HRC), che a sua volta dipende dall’Assemblea Generale, è dunque un’entità direttamente collegata alle Nazioni Unite. Non si tratta di una figura esterna, come Francesca Albanese, rapporteur indipendente che, pur lavorando per l’Onu, non parla a nome dell’organizzazione, ma di un organo pienamente riconosciuto, che conferisce alla sua voce il massimo grado di autorevolezza.
In un rapporto di 72 pagine, frutto di quasi due anni di indagini, la Commissione ha analizzato la condotta delle autorità israeliane e ha concluso che quattro dei cinque criteri stabiliti per definire un genocidio sono soddisfatti. Non criteri arbitrari, ma parametri giuridici fissati dalla Corte di Giustizia nel caso più recente di tentato genocidio: quello commesso dai serbi contro i musulmani bosniaci durante la guerra in Bosnia.
La domanda allora è: possiamo parlare di genocidio senza sentirci colpevoli di mancare di rispetto alla memoria della Shoah? Non solo possiamo, ma dobbiamo.
Il problema è che lo status quo imposto in Italia da gran parte dei commentatori — dai talk show ai giornali — continua a negare l’evidenza. La scorsa settimana Enrico Mentana si è lanciato in una balbettante difesa dell’unicità dell’Olocausto, negando qualsiasi intento genocidario da parte di Israele e arrivando a citare la Bosnia senza rendersi conto che è proprio a quel precedente che la Commissione Onu ha fatto riferimento per definire Gaza un genocidio in corso. Allo stesso modo, figure come Mieli, Segre, Cacciari e altri continuano a proporre letture basate su impressioni personali, mentre la più ampia e dettagliata indagine mai condotta fino ad oggi va in direzione opposta.
A chi credere, allora? Alla voce di giornalisti e opinionisti o all’Onu e ai suoi esperti? La risposta dovrebbe essere ovvia. Non perché l’Onu confermi le tesi di chi sostiene la causa palestinese, ma perché le sue conclusioni, dure e inequivocabili, derivano da un lavoro metodico, lungo e documentato, che segue standard internazionali riconosciuti.
Il percorso dell’Onu verso questa definizione non è iniziato ieri. A gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia aveva parlato di “plausibilità” di genocidio, ordinando a Israele misure di de-escalation rimaste lettera morta. Poi sono arrivati i mandati di cattura della Corte Penale Internazionale che, pur non essendo un organo Onu, collabora con esso sul piano giudiziario e culturale contro i vertici israeliani, senza però includere ancora l’accusa di genocidio. Infine, il rapporto di Francesca Albanese ha ulteriormente rafforzato il quadro, puntando il dito anche contro i paesi che sostengono Israele per interesse politico ed economico.
E adesso siamo a un punto di non ritorno: sì, possiamo e dobbiamo usare la parola genocidio. E dobbiamo pretendere che nei contesti politici, mediatici e accademici si smetta di mascherare la realtà dietro una prudenza complice. Definire un genocidio come tale non è un atto simbolico: è un passo giuridico. Il rapporto della Commissione d’Inchiesta è infatti una fonte ufficiale per i tribunali internazionali (ICJ e ICC) ma anche per quelli nazionali che riconoscono la giustizia universale. Questo significa che chiunque abbia preso parte, a qualunque titolo, al genocidio di Gaza potrebbe essere arrestato, processato e condannato in qualsiasi paese del mondo.
Un giorno — speriamo non lontano — l’inferno di Gaza finirà. E allora i popoli avranno il diritto di aspettarsi che il “day after” non venga celebrato con retoriche di pace di facciata o progetti immobiliari sulla Riviera di Gaza, ma con un processo vero, davanti a un tribunale, per i responsabili politici e militari. Esattamente come fu a Norimberga.
Oggi abbiamo prove e documenti che certificano gli intenti genocidari di Israele. E, pur in questo cinico ribaltamento della storia, quel principio vale più che mai.
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