La sentenza sull’ufficiale ucraino è una prova dell’inutilità della riforma Nordio
- Postato il 29 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La Corte d’Appello di Bologna per la seconda volta sentenzia che l’ufficiale ucraino Kuznietsov può essere estradato in Germania, dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la precedente decisione: una evidente prova della inutilità della “riforma” Nordio della magistratura, ma anche un campanello d’allarme per i democratici. Altro che separazione delle carriere per assicurare indipendenza tra Pubblici Ministeri e magistratura giudicante! Qui, ministro Nordio, la vicenda prova una volta di più che l’autonomia nel giudicare non dipende da pretestuose organizzazioni funzionali, ma dalla imparzialità di chi giudica.
Ed è proprio questo il punto: l’indifferenza del giudice alle pretese della politica.
Pretese che nella vicenda Kuznietsov, come in quella Almasri, sono talmente evidenti che la domanda vera è: perché sono stati arrestati?
Davanti ad un giudice che decide restando indifferente alle “ragioni” della politica, fossero pure ammantate da “ragion di Stato” (platealmente evocata dal premier polacco Tusk per una situazione analoga), la reazione di chi è al governo può essere di due tipi: prenderne atto con conforto, oppure arrabbiarsi con trasporto.
Nel primo caso sei un liberale, nel secondo caso sei un finto liberale, con o senza nostalgie per il fascismo.
La “riforma” Nordio, bandiera del governo Meloni, sembra proprio tradire una irresistibile insofferenza verso l’indifferenza della magistratura alla volontà della politica, dal momento che l’obiettivo finale mal celato dalla stessa è quello di creare le condizioni per la progressiva subordinazione della magistratura procedente all’Esecutivo. Così che in futuro ci si potrà evitare l’imbarazzante ping-pong tra giudizi più o meno in linea con le aspettative di chi comanda: l’azione penale sarà esercitata a monte con maggior prudenza, con buona pace della sua obbligatorietà ancora formalmente in Costituzione!
Se a questa “riforma” si aggiunge quella del premierato, altra bandiera della Meloni, il quadro che se ne ricava è quello di una concentrazione inaudita di potere nelle mani della maggioranza uscita vittoriosa dalle elezioni, che facilmente tale potrà restare a lungo di elezione in elezione.
Curioso che davanti a questo orizzonte molti opinionisti ritenuti di granitica fede democratica, in una climax che ha toccato l’apice con Romano Prodi, abbiano attaccato Elly Schlein per il suo discorso ad Amsterdam: non ha detto nulla che non fosse già rintracciabile nelle parole usate dal Presidente della Repubblica fin dal discorso di Marsiglia nel febbraio scorso… ma forse non potendo criticare “suocera” hanno preferito menare “nuora”.
La sentenza Kuznietsov, caro ministro Nordio, dimostra anche che la nostra democrazia liberale è difficilmente imbrigliabile adoperando il fioretto: se la si vuole addomesticare, ci vuole più audacia, quella maschia e dannunziana, quella del “me ne frego” e del “boia chi molla”, quella della P2 di Licio Gelli che finanzia la strage di Bologna, quella dei Nar che la fanno, quella di chi fa sparire il guanto dalla macchina dei killer di Piersanti Mattarella, quella di chi accende la miccia della bomba in via Palestro… Su! Senza questa audacia gagliarda il rischio è che un giornalista libero di sputtani con una inchiesta, un giudice indipendente di condanni inopinatamente persino al carcere o che l’arbitro della Repubblica, non ancora annichilito dalla riforma Meloni, ottenga che la proposta di legge spudoratamente incostituzionale volta ad imbavagliare i più scomodi componenti della Commissione parlamentare antimafia finisca su un binario morto. Insomma: la torsione illiberale pretende mani robuste, altrimenti si rischia l’autogol.
Forse è così che andranno interpretati due fatti arditi: la bomba davanti alla casa di Ranucci e l’incendio negli studi di 42 Parallelo.
Forse ha ragione chi dice che il botto lo hanno fatto per mandare un messaggio a qualcun altro. Qualcun altro che deve ancora decidersi se fare sul serio oppure no. Se cogliere l’attimo a qualunque costo, come fecero i registi della “strategia della tensione”, oppure lasciar perdere, preparandosi però a passare la mano. Se non si è disposti ad andare fino in fondo, allora è meglio fermarsi (parrebbe continuare la “sintassi” dei segnali): altro che sentire per la seconda volta Gian Carlo Caselli in Commissione antimafia, che ti viene a rovinare la torta faticosamente confezionata con la scritta glassata “mafia-appalti”.
Alla Cassazione in fine un suggerimento bonario: tra un mese, annulli con rinvio… direttamente in Ucraina (voli di Stato ne abbiamo!).
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