La foto sul Fatto è un atto d’accusa al mondo: basta appelli per Gaza, servono gesti dirompenti
- Postato il 25 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La foto «da Pulizer» de Il Fatto Quotidiano dal titolo parafrasato di Primo Levi “Se questo è un bambino”, del 24 luglio 2025, è un atto di accusa a tutto il mondo, a tutta la cosiddetta inutile politica e a tutte le chiacchiere ovunque e da chiunque. Quando una casa brucia, non ci si ferma a commentare come si muove il fuoco, ma si prova a spegnerlo subito, prima che dilaghi intorno e bruci tutto. La foto e il titolo mostrano la realtà di adesso e il nome dell’ebreo Primo Levi, scrittore, chimico e partigiano contro il nazifascismo.
Al ritorno da Aushwitz, nel suo più famoso scritto autobiografico Se questo è un uomo, non esitò a scrivere, marcando ogni parola sulla viva carne, come un marchio a fuoco perché restasse indelebile: “Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile”.
Primo Levi non esitò a condannare Israele, quando invase il Libano (1982); non esitò a prendere posizione pubblica, memore di quelli che stettero zitti o si barcamenarono in ogni “zona grigia” possibile, pur di sfangarla al minor costo. Al tempo di Aushwitz, ancora ancora, qualcuno poteva anche giustificarsi col “non sapevo… non sapevamo”. Oggi è matematicamente “impossibile non sapere”, perché tutti i giorni, dalla mattina alla sera e anche durante la notte, tutto è palese; tutto quello che è detto e fatto nel segreto, è svelato e gridato sui tetti. Israele espone l’ignominia di Gaza e ride e gode.
Il titolo di Primo Levi, Se questo è un uomo, oggi supera il livello autobiografico per assumere una valenza assoluta di “vergogna cosmica dell’umanità” per il disprezzo del diritto (a sopravvivere e a non morire per carestia; sic!!!). A Gaza si muore per “fame e sete”, che è una strategia studiata a tavolino, programmata da un ricercato internazionale per «genocidio», che si serve della guerra per non andare in prigione nel suo Paese dove il processo per corruzione è sospeso, causa guerra: “Finché c’è guerra c’è speranza” (profetico Alberto Sordi, 1974).
I complici-alleati, sostenitori di Netanyahu, gli estremisti e invasati pseudo-religiosi oltranzisti, hanno già occupato l’82% dei territori palestinesi e ora pretendono la «chiave del nutrimento e dell’acqua» per portare cibo e acqua, ammassati in Egitto, senza potere entrare a Gaza per sfamare bambini e abitanti di Gaza, prigionieri della carestia, organizzata dall’esercito di un Paese, definito da quasi tutti “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Si tratta di una pianificazione studiata a tavolino e – a mio avviso – siamo autorizzati a paragonarla alla scientifica, accurata programmazione nazista per eliminare fisicamente, con ogni mezzo, (anche la carestia) «la razza ebraica».
Come è possibile che Ebrei vittime di Olocausto, l’indicibile, l’inimmaginabile, oggi a distanza di appena 80 anni, ripeta esattamente le stesse programmazioni, senza forni crematori apparenti? Che differenza c’è tra i forni crematori di allora e la carestia di oggi a Gaza che, semmai prolunga la morte e la mostra come monito per gli altri? Nel 1932-32 fu Stalin a decidere l’Holodomór-carestia/sterminio per fame degli ucraini, oggi per Gaza è Israele che decide Holodomór di generazioni di bambini, ragazzi e ragazze. Tutto avviene in faccia al mondo che, come non si mosse dal 1938 al 1945, non si muove oggi, anzi molti, troppi speculano sulla morte per fame e carestia, facendo enormi guadagni.
Il Targùm [traduzione orale in aramaico del testo biblico ebraico] Neòfiti, a commento di Gn 30,22, dice che Dio ha concesso tutto ad Àdam ed Eva, ma trattenne per sé solo quattro chiavi: “Quattro chiavi sono nelle mani di Yhwh, signore dei secoli. Esse non sono affidate neppure a un angelo o a un serafino: la chiave della pioggia, la chiave del nutrimento, la chiave dei sepolcri [la vita] e la chiave della sterilità”. Netanyahu crede di potere usurpare per sé stesso le quattro chiavi , ma non gli è consentito ne deve rispondere davanti al suo dio se ancora è il Dio della Toràh, ma deve rendere conto anche davanti al tribunale degli uomini, la Corte Penale Internazionale che lo hanno già accusato di genocidio, pulizia etnica, e delitti contro l’umanità, emettendo un ordine di arresto internazionale.
Intanto a Gaza la morte avanza nel disinteresse di tutti e nel disprezzo degli elementari principi umanitari. L’inferno è spalancato davanti all’umanità, indegna di restare in questo mondo e, infatti, sembra che abbia fretta di inabissarsi nel buco nero della vergogna e della indegnità, di cui sono, siamo complici, tutti quelli che restando zitti, non sono muti, ma còrrei “in solido”.
Come vorrei che il Leone, papa XIV, corresse a Gaza e portando con sé chi vuole, riempiendo non una ma due, 10, cento navi per sbarcare a Gaza e senza armi in pugno sfidare i mercenari e abbattere i divieti facendo entrare i camion che aspettano di sfamare i «figli di Dio» (‘Abna’ Allah – B’nei HaElohìm). Non bastano più gli appelli vuoti dalla finestra di piazza San Pietro, le parole sono esaurite. Ora urgono gesti profetici e dirompenti, senza diplomazia, senza galateo, ma con la forza dello Spirito che ci brucia i cuori e ci spinge alla lotta disarmata per essere disarmanti.
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