La scuola non è tutta uguale, anche se fa comodo trattarla così. Ben vengano i ribelli!

  • Postato il 22 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Dopo le polemiche da magazine da spiaggia sui compiti assegnati per le vacanze (troppi? troppo pochi?), a luglio è esplosa la vicenda degli studenti che – collezionati i punti necessari per essere dichiarati “maturi” e ciascuno da solo, senza organizzazione – rifiutano l’orale della prova come forma di contestazione della sua utilità e atto di accusa verso un sistema scolastico incapace di motivarli, valorizzarli e spingerli a investire di più nel percorso di studi. Via con le esercitazioni linguali (non linguistiche!) a commento dell’evento spettacolare, psicologia e crepettismo a piene mani, invocazione di misure straordinarie per impedire il ripetersi della terribile contestazione nei secoli a venire.

Per quegli strani fenomeni di déjà vu sempre più frequenti in noi che abbiamo alle spalle una vita lunga ricca e animata da furori progressisti, sono tornato col pensiero a esattamente cinquant’anni fa. Era l’estate del 1975 quando il Direttore Didattico di una scuola elementare a Tempo Pieno richiamò dalle vacanze l’intero corpo docente, per imporre la ricompilazione di tutti i documenti finali, a cominciare dai voti sulle pagelle dei piccoli allievi. Le maestre e i maestri avevano attribuito a tutti gli allievi gli stessi voti, dunque le pagelle erano tutte uguali. Ciò, sosteneva il Direttore Didattico, contravveniva uno degli obblighi connessi alla funzione docente, la valutazione. Assegnando a tutti gli stessi voti, l’obbligo era violato e neanche la relazione individuale, regolarmente e dettagliatamente compilata per ciascun allievo, poteva sostituire la fatidica pagella.

Durante l’anno scolastico i docenti avevano incontrato singolarmente le famiglie una volta ogni mese per valutare i progressi e stabilire, all’occorrenza, forme di sostegno e di integrazione per soccorrere le carenze e evidenziare bisogni particolari così come andavano emergendo. Una scheda riassuntiva finale, allegata alla pagella, dava conto delle attività, delle risultanze, tracciando un bilancio complessivo. Questa era la valutazione, almeno così sostenevano compatti i docenti della scuola, loro uniti e coordinati. Mica per niente lavoravano nel Tempo Pieno, che allora voleva dire tante cose, ma sostanzialmente una scuola di integrazione, progresso culturale e sperimentazione nella didattica, nei contenuti e nei metodi. Ovviamente di voti non se ne parlava neanche in corso d’anno; la valutazione si operava tutti i giorni, e con loro. I bambini imparavano benissimo lo stesso, anzi.

Il braccio di ferro fra docenti richiamati dalle ferie e Direttore Didattico – allora i dirigenti scolastici si chiamavano così, a significare il loro impegno principale proprio nella didattica – continuò per qualche settimana. Faceva caldo anche allora e un paio di richiami scritti, una contestazione di addebito e la minaccia di una censura, insieme a un grande esercizio di diplomazia da parte di entrambe le parti in causa ammorbidirono le posizioni: si convenne che i voti sulle pagelle sarebbero rimasti uguali per tutti, ma che nelle note si sarebbe introdotta, con una frase che rimandava al profilo compilato, la differenziazione fra un allievo e l’altro.

Per dare un’idea, a qualcuno toccò un “attenzione massima, capacità di calcolo”, ad altri “scrittura larga, ma precisa”, e così via. Qualche anno dopo nell’intera nazione i voti vennero sostituiti da profili non molto lontani da quelli prima contestati, ma il vizio gentiliano di aggettivare (condannando e assolvendo) è rimasto, così come quello di giudicare percorsi, persone e profitti che avrebbero bisogno di valorizzazione più che di valutazione. Fine flash back, torniamo all’oggi.

Il problema non è quello che (troppo pochi) studenti disobbedienti fanno all’esame di Maturità – anche contare i punti per scoprire che non ne servono altri per uscire dalle superiori è una prova di maturità e di capacità di padroneggiare regole insulse che badano ai punti più che alla sostanza -, seguiti da giornalisti pigri, dalla solita schiera di “specialisti” e da un ministro imbarazzante. Il problema è che ancora non si dà conto della spaventosa lontananza fra l’istituzione preposta alla formazione e la parte più critica del mondo giovanile, quella che si fa finta di esaltare promuovendo un non ben precisato “pensiero critico”. La scuola non è tutta uguale, anche se fa comodo trattarla così: accanto a esperienze che davvero contribuiscono a formare i nostri giovani, ve ne sono altre dove malumore e sciatteria nel quotidiano portano docenti e personale vario a trascinarsi da un’aula all’altra confondendone nomi e persone, come se il problema fosse la quantità, tutti uguali e tutti da trattare come una “seccatura con famiglia al seguito”.

Fateci caso, è giusto quello che segnalano gli “studenti ribelli”: non vanno né capiti né assecondati né deplorati, semmai ascoltati perché, a differenza della gran parte della popolazione (anche scolastica), si prendono la responsabilità delle loro azioni. Vi sembra poco?

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Il Fatto Quotidiano

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