Rita Atria è la settima vittima di Via D’Amelio. Ma è dimenticata come gli altri testimoni di giustizia

  • Postato il 26 luglio 2025
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Rita Atria è la settima vittima di Via D’Amelio: la sua memoria illumina il niente che questo governo e la Commissione parlamentare antimafia stanno facendo per i testimoni di giustizia e per i minori che crescono dentro famiglie mafiose. Nonostante il fiume di retorica che si spreca ad ogni piè sospinto e le proposte concrete avanzate dalle opposizioni e dalle parti sociali.

A Rita Atria, nata e cresciuta a Partanna, la mafia ammazzò prima il padre, don Vito, mafioso divenuto ostacolo per i nuovi assetti ed i nuovi business di Cosa Nostra, poi il fratello Nicola, mafioso come il padre, diventato un pericolo perché assetato di vendetta. Rita sarebbe potuta sprofondare nella spirale di sangue pretesa dalla cultura della quale era imbevuta ed invece se ne salvò soprattutto grazie alla forza divergente della giovane cognata, Piera Aiello, che per prima dopo l’assassinio del marito Nicola, indicò la strada della denuncia. Piera e Rita fecero la rivoluzione a Partanna, preferendo la giustizia dello Stato alla fogna senza fine della faida mafiosa e la rivoluzione prese il volto rassicurante ed allora ancora scherzoso di Paolo Borsellino, che da procuratore di Marsala, si prese a cuore queste due siciliane ribelli e si occupò personalmente non soltanto di raccogliere le informazioni che avevano da dare, ma anche della protezione che andava loro garantita.

E’ noto che Rita sopravvisse soltanto una settimana alla morte del “suo” giudice: il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino venne assassinato in Via D’Amelio con gli agenti di scorta, il 26 luglio 1992 Rita Atria morì a Roma schiantandosi sul selciato in Viale Amelia. Il suo diario parla chiaro: Cosa Nostra a Rita appariva come una macchina infernale, molto probabilmente invincibile, perché disponeva di risorse infinite e complicità altolocate. Una macchina infernale che aveva avuto la forza di spazzare letteralmente via prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino dopo averle distrutto la famiglia e la vita.

Qual è il valore di scelte di vita del genere?

Per me il valore, enorme in questa Italia fradicia di corruzione e codardo opportunismo, si manifesta nel decidere di stare dalla parte della Stato, della legge, della giustizia quando sarebbe molto più comodo abbozzare, darsi delle giustificazioni per restare incistati nelle pieghe di un sistema potente, che in cambio dell’ubbidienza assicura protezione. I testimoni di giustizia, che sono persone per bene, non sono super eroi senza macchia e senza paura (troppo comodo raffigurarli così!), hanno certamente le loro macchie e le loro paure, però fanno una cosa eccezionale nel preciso momento in cui preferiscono la giustizia, con il prezzo alto che pretende, alla vendetta, alla omertà, all’ubbidienza.

Lo Stato italiano, grazie al magistero di Giovanni Falcone si era dotato nel 1991 di norme volte a proteggere i collaboratori di giustizia, cioè i mafiosi che decidevano di barattare con lo Stato informazioni utili alla giustizia con sconti di pena (ed altre condizioni premiali), ma non aveva norme per tutelare questi scandalosi obiettori di coscienza alla omertà mafiosa. La reazione necessaria in questo senso cominciò proprio grazie a storie come quella di Rita, di Piera e di un “folle” rappresentante di commercio, Pietro Nava (nome in codice Ulisse), che trovatosi per ragioni di lavoro a transitare per l’agrigentino vide in diretta l’omicidio del giudice Rosario Livatino e… telefonò ai carabinieri!

Da allora si è sviluppato un percorso lungo ed accidentato per sostenere adeguatamente la scelta di questi obiettori di coscienza, fino ad arrivare alla legge numero 6 del 2018 approvata all’unanimità dal Parlamento, che ha finalmente definito lo statuto giuridico del Testimone di Giustizia, distinguendolo radicalmente da quello del collaboratore di giustizia. Missione compiuta? Macché, fatta la legge bisogna manutenerla, bisogna fare i decreti attuativi, bisogna lavorare sulle prassi applicative affinché la volontà del Legislatore diventi “carne viva” degli apparati deputati. Un lavoro enorme e moralmente ineludibile che resta però in gran parte da fare.

Probabilmente è soltanto una ingenuità aspettarsi passi avanti compiuti da questa destra che fa a pezzi la magistratura, dedicando la “riforma” a Berlusconi cioè all’uomo che per decenni ha pagato mensilmente centinaia di milioni a Cosa Nostra per assicurarsene la protezione proprio mentre Cosa Nostra faceva strage di servitori dello Stato fedeli alla Costituzione ed un indomito commerciante come Libero Grassi, invece di comprare la sicurezza mafiosa, denunciava tutto pubblicamente, pagando con la vita la solitudine in cui si ritrovò.

Questa destra che umilia la Corte dei Conti, strizza l’occhio agli evasori, imbavaglia la stampa, cosa ha a che fare con i testimoni di giustizia? Niente! Ed infatti, Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia, si è tenuta la presidenza del Comitato che riguarda proprio i Testimoni di Giustizia per fare… Niente! Eppure proposte precise sul tavolo ce ne sono diverse, che riguardano financo i contributi pensionistici, e consulenti autorevoli sul punto anche. Ma niente si fa. Salvo esibire la borsa di Paolo Borsellino in Parlamento, sostenere platealmente la Fondazione dedicata al giudice Livatino (vedi alla voce Alfredo Mantovano), farsi fotografare abbracciati ai famigliari delle vittime di mafia, forse per far dimenticare quegli altri abbracci, per i quali non basta chiedere perdono.

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Il Fatto Quotidiano

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