La Festa della Poesia: lo sguardo e la visione di Calogero
- Postato il 7 agosto 2025
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Il Quotidiano del Sud
La Festa della Poesia: lo sguardo e la visione di Calogero
POETI, critici, giovani e lettori, si dànno appuntamento anche quest’anno a Melicuccà alla Festa della poesia, con e per Lorenzo Calogero, grazie al ciclo di incontri curati dal 7 all’11 agosto da Nino Cannatà. Tante le presenze in programma per l’edizione 2025, che proporrà l’11 agosto, un dialogo fra Milo De Angelis, poeta emblematico della nostra contemporaneità, e Luigi Tassoni, uno dei critici di poesia più esperti di oggi. Tassoni interverrà sul tema: “Lorenzo Calogero ovvero l’invenzione della contemporaneità”, e De Angelis parlerà delle sue Poesie dell’inizio (Mondadori).
Sempre con De Angelis, il 10 agosto Viviana Nicodemo proporrà una sua lettura dal De rerum natura di Lucrezio e dai Fiori del male di Baudelaire (nella traduzione Mondadori di De Angelis); a essa faranno seguito in serata un omaggio di Tassoni al poeta Achille Curcio, maestro di poesia dialettale, in occasione dei suoi 95 anni, e la proiezione di un video di Francesco L. Tassoni. Abbiamo chiesto a De Angelis e a Tassoni di confrontarsi per noi su alcuni temi cari alla Festa della poesia.
Perché si può parlare di invenzione della contemporaneità a proposito di Lorenzo Calogero?
Tassoni: «Nelle pagine introduttive a uno dei suoi libri più belli, “Parole del tempo” (1956), Calogero confessa di avere «amato eccessivamente la parola». È questo avverbio, “eccessivamente”, a fare da apripista al lettore del poeta calabrese nella foresta ossessiva e compulsiva della sua scrittura. La poesia per Calogero, autonomamente e autorevolmente, rientra nella vita, si forma cioè in un’ipotesi di discorsi, azioni, memoria, visioni, vissuti nella parola, e poi ridati alla vita, messi in circolo come fossero un «dono» imprevisto. L’invenzione della contemporaneità parte dall’imprevisto e arriva ai confronti della complessità di linguaggi di oggi. A poco porta il percorso inverso, dalla realtà alla scrittura.
«L’acre vita dei segni», di cui parla Calogero in un famoso verso, è molto vicina alla poesia di Milo De Angelis che in “Biografia sommaria” parla di «segni/ passeggeri della fine». Come se ne avverte il sapore nella recente edizione di Poesie dell’inizio 1967-1973?
De Angelis: «Dice bene Lorenzo Calogero: i segni hanno una vita aspra, sofferta, penetrante, appaiono quando meno te l’aspetti e possono diventare un’immagine improvvisa della morte e poi sparire nel nulla, andarsene con la stessa naturalezza con cui erano giunti da noi. Segni “passeggeri”, appunto, che colpiscono e poi svaniscono, facendo di noi stessi i passeggeri di un viaggio fugace nell’esistenza. Ricordiamoci sempre di Lucrezio: “la morte è eterna e la vita è una sua breve interruzione”».
Un viaggio a Melicuccà non può che suscitare grande emozione in chi ha a lungo letto la poesia di Calogero, e anche la gioia del ritorno e del confronto. Come appare oggi la parola del poeta calabrese? è un messaggio per il presente?
Tassoni: «”L’attimo ci insegue”, dice De Angelis in uno dei suoi versi memorabili. Non il contrario: ovvero non siamo noi che romanticamente inseguiamo l’attimo. E Calogero lo comprende sin dagli anni Trenta. A Melicuccà ho immaginato così tante volte, fra alberi maestosi e sentieri impervi, lo sguardo e la visione di Calogero, fra l’infinito e i limiti. Oggi che questo è un luogo della poesia, un habitat tragico e tenero, com’è il verso di Calogero, passiamo di sorpresa in sorpresa, di incontro in incontro, che attendono me e Milo e i nostri compagni di viaggio con la poesia».
Ora che il vento / […] grida le cose / come se esistessero sono versi famosi da “Somiglianze” di De Angelis, quasi una dichiarazione di poetica. E Calogero in un verso bellissimo scrive: «La lievità commosse le cose». Questo richiamo alle cose del mondo potrebbe accomunare due diverse poetiche?
De Angelis: «Ci sono poesie di Somiglianze che devono molto a Calogero, come quella che hai citato, dove ritroviamo quel senso della metamorfosi che è tipico del poeta calabrese, quel passaggio inesauribile da una forma all’altra, brezza che entra nei versi e li sospinge in un movimento senza pausa, senza origine e senza meta. E infine devo dire che mi ha sempre colpito la “dolcezza” di Calogero, la presenza di un soffio tenero e commosso che rimane vivo anche nei momenti più bui e desolati della nostra vita».
De Angelis ha avuto la fortuna e il merito di un grande ascolto e un grande seguito di lettori coinvolti nella sua parola essenziale e intransigente. Calogero non l’ebbe e l’ascolto per lui rappresentò una continua necessità.
Tassoni: «Il richiamo all’ascolto proprio da qui, da Melicuccà, acquista un sapore diverso. Non solo di traccia che arriva da lontano, nientemeno che da Petrarca. Ciò che noi facciamo, parlando di poesia, leggendo la poesia anche ad alta voce, non è una forma di risarcimento o di illusione: è la convinta volontà di far circolare la tensione del verso, la sua dimensione di tempo umano che non può ignorare il nostro tempo di devastazioni. La poesia attraversa tragicamente la disumanizzazione, risale da certe profondità insospettabili del nostro essere».
Lo abbiamo detto, l’ascolto ha grande valore per i contemporanei e lo ha per la poesia tutta, isola e cosmo allo stesso tempo. Che ruolo dà all’ascolto De Angelis?
De Angelis: «Ascoltare la voce di un poeta può aiutarci ad entrare nei sotterranei della sua opera, può condurci come il filo d’Arianna fuori dal labirinto di certe sue oscurità. Ci sono poeti, in questo senso, che aprono un varco con la loro pronuncia, evidenziano ciò che è decisivo nei propri versi. Ma è vero – e Calogero lo sapeva bene – che l’ultima parola spetta alla pagina».
In conclusione, una domanda cruciale a entrambi. Calogero confessa nei “Quaderni di Villa Nuccia”: Sapevo qualche inno alla memoria/ e la lugubre vocazione ad esistere. Secondo voi per la poesia e per il mondo d’oggi che peso ha la memoria e quale riflesso ha sull’esistenza, sulla storia?
De Angelis: «La memoria del poeta non è una semplice ricerca del tempo perduto, non si limita a compiere un viaggio archeologico nelle profondità della terra per riportare i reperti in superficie. Più che di un tempo “perduto” si tratta di un tempo “in perdita”, sempre intrecciato al presente e al futuro, con cui intesse un ardente legame: è un tempo dove confluiscono nel medesimo istante ciò che abbiamo vissuto e ciò che vivremo: memoria e progetto, ricordo e utopia, rimembranza e profezia. Per questo non mi stanco di ripeterlo: il viaggio in avanti verso il porto che ci attende è al tempo stesso un viaggio all’indietro verso ciò che siamo stati».
Tassoni: «La memoria gioca con i tempi della nostra esistenza: fa apparire o scomparire le cose senza preavviso. Quella di Calogero, come quella di De Angelis, ma anche di Campana, e poi dei poeti consentanei di Calogero, da Sinisgalli a Sereni, è una memoria senza l’alibi specifico del ricordo, è amore della ripetizione, dinamica delle “somiglianze” (titolo significativo del primo libro di De Angelis), gioia del confronto, traccia continua. E se la memoria è ritorno, bisogna coltivare gli effetti della differenza, la non staticità del ritorno. Questo avviene in gran parte della civiltà contemporanea, della quale i poeti che ho nominato sono solidi punti di riferimento. Penso che soprattutto la poesia potrà spiegarci la nostra contemporaneità, ponendole le domande giuste».
Il Quotidiano del Sud.
La Festa della Poesia: lo sguardo e la visione di Calogero