La Cop30 di Belem segnerà il passaggio della leadership ambientale dall’Occidente a Cina e Brics
- Postato il 4 novembre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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L’appuntamento della Cop 30 di Belem non sembra incidere nel dibattito politico aperto nel nostro paese. Eppure, la crisi climatica va peggiorando, mentre cresce la distanza tra un’opinione pubblica allarmata e governi irresponsabili nei confronti delle loro popolazioni. L’Italia del governo Meloni porterà in Amazzonia una posizione sostanzialmente negazionista a giustificazione del suo ritardo sugli obbiettivi assunti precedentemente a livello internazionale. Mentre su indicazione di Trump arretra il Green Deal europeo, è la Premier in persona a definire “ideologica” la sostenibilità ambientale, mentre corre in aiuto dell’industria continentale dell’automotive per tenere in vita motori endotermici – magari alimentati a biocarburanti – e sostiene le importazioni del gas liquido di Trump e Milei infrangendo l’obiettivo di emissioni climatiche zero al 2040.
La Cop di novembre a Belem, alla foce del Rio delle Amazzoni, ha un alto valore simbolico e va contestualizzata come un appuntamento rilevante per l’attenzione alla biosfera e al protagonismo dell’emisfero Sud del Pianeta. Anche per questa ragione sarebbe rilevante una visione che superi il vecchio colonialismo dell’Occidente ricco, tutt’altro che esorcizzato dalle lobby energetiche che combattono le rinnovabili.
I segnali più recenti che provengono dalla natura sono drammatici. La devastazione lasciata dall’uragano Melissa in Giamaica e nella parte orientale di Cuba, con venti di quasi 300 chilometri orari, non è stata frutto del caso o di un capriccio meteorologico eccezionale. Il fenomeno della rapida intensificazione dei cicloni sta diventando sempre più comune nei Caraibi, e c’è una spiegazione nell’effetto del riscaldamento globale. Effetto riscontrabile anche in Europa, dove la temperatura media ha già superato la soglia di1,5°C e già in questa estate ondate di calore ed eventi estremi sono costati 43 miliardi di euro, di cui 12 all’Italia.
Per l’imminente Cop 30, al contrario dell’involuzione che matura negli Usa, in Italia ed Ue, il continente africano si va preparando ad un ruolo meno dipendente dai Paesi ricchi. Invece di continuare ad aspettare gli aiuti, l’Africa sta cercando di mobilitare investimenti nella sua transizione verde perché può così aiutare il mondo ad affrontare il cambiamento climatico.
Il successo di questo sforzo originale, adottato all’Africa climate summit di Addis Abeba, richiederà progressi su quattro fronti, tutti in agenda per il confronto che si aprirà a Belem. Il primo riguarda il costo del capitale, per cui è essenziale una riforma sistemica, con la creazione di una nuova architettura finanziaria a guida africana che ne riduca il costo. Il secondo si rivolge ai mercati del carbonio, in un contesto che, anziché fornire compensazioni a basso costo per le emissioni di attori esterni con scarsi benefici per la sua popolazione, promuova un mercato del carbonio integrato, regolamentato dagli africani. Il terzo si rivolge all’adattamento, da integrare nelle politiche industriali locali, poiché gli investimenti in agricoltura, infrastrutture e sistemi idrici resilienti al clima generano posti di lavoro, promuovono l’innovazione e stimolano l’integrazione dei mercati. Infine, i minerali essenziali di cui il continente è ricchissimo andranno integrati in catene del valore nel continente. L’Africa potrà così evitare la “maledizione delle risorse” e garantire che la sua ricchezza di minerali essenziali generi posti di lavoro e industrie locali.
In definitiva, la logica estrattiva del passato – in cui l’industrializzazione si basava sullo sfruttamento e sulla distruzione – deve cedere il passo a un approccio più olistico, giusto ed equilibrato, che riconosca che gli esseri umani appartengono alla natura, non il contrario.
Su un altro fronte, sempre estraneo all’Occidente, è probabile che, a seguito dell’abbandono dell’accordo di Parigi da parte di Trump, al ripensamento del Green Deal da parte della von der Leyen, ai passi indietro dell’Italia, l’attenzione per un esito non drammatico della Cop 30 di Belem passi ai Paesi Brics ed in particolare, a Brasile e Cina ed ai loro differenti approcci alla transizione energetica. Di fronte ad un primo cittadino americano che ha descritto il clima come “la più grande truffa mai perpetrata nel mondo” ed ha attaccato le rinnovabili come un “scherzo patetico”, il leader cinese Xi Jinping ha replicato: “La transizione verde e a basse emissioni di carbonio è la tendenza del nostro tempo. Mentre alcuni paesi si stanno muovendo contro di essa, la comunità internazionale dovrebbe rimanere concentrata sulla giusta direzione”. Una contrapposizione di non poco conto, largamente trascurata dal nostro mainstream, che si affanna a trascurare come l’evoluzione delle emissioni di anidride carbonica del comparto energetico cinese siano già diminuite del 3% nella prima metà del 2025 e come nel primo semestre del 2025 la Cina abbia installato 12 volte più potenza solare rispetto agli Usa.
La Cop 30 di Belem segnerà probabilmente il passaggio della leadership ambientale dal mondo occidentale a Cina e Brics, accompagnato da un risveglio africano: un cambiamento che può dare un risalto internazionale alla Cop 30 che qui da noi non si intende sottolineare.
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