Kennedy, Burke e Pacini: parole e immagini realiste
- Postato il 8 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“Conobbi Jack nel 1925, quando lui e il fratello Eddie contrabbandavano di persona alcolici dal Canada. Già allora Jack bazzicava il Kenmore, e lui e Eddie e altri della loro torma erano seduti al tavolo accanto al mio e parlavano di Al Jolson. Da come parlava si capiva che Jack era un ammiratore di Jolson, proprio come me, e lo ascoltai esprimere la sua meraviglia per il fatto che potesse esistere qualcuno bravo e capace quanto Jolson, ma disse anche che quel damerino era il più presuntuoso figlio di puttana in circolazione”.
Legs, di William Kennedy (introduzione di Emiliano Morreale, traduzione di Attilio Veraldi; Minimum Fax), è il primo volume della “trilogia di Albany” , ed è un romanzo fondamentale per comprendere lo stile unico dell’autore, un mix di realismo magico, umorismo nero e profonda malinconia. Molto più di una semplice biografia romanzata, Legs è un’esplorazione profonda del mito del gangster americano, un romanzo che scava nella psiche di Jack “Legs” Diamond, uno dei criminali più enigmatici e celebri del proibizionismo, e che mescola fatti storici, aneddoti, e una prosa ricca di un lirismo quasi onirico.
Il punto di vista principale è quello di Marcus Gorman, avvocato di Diamond e narratore parzialmente inaffidabile, che cerca di comprendere e dare un senso alla vita del suo cliente. Attraverso gli occhi di Gorman, assistiamo alla rapida ascesa di Diamond e alla sua caduta rovinosa, seguendo le sue vicende criminali, i suoi amori, le sue ferite e la sua inarrestabile, quasi mitologica, fuga dalla morte. Notevole anche la capacità dell’autore di evocare l’atmosfera e lo spirito di un’epoca: la New York dei ruggenti anni Venti, le atmosfere fumose degli speakeasy e la violenza brutalmente romantica del crimine organizzato. Aspetto, questo, che rafforza il senso concreto e materiale del romanzo: indagare sulla natura del mito, su come si costruisce, come si alimenta e come, alla fine, può consumare l’uomo che lo ha creato.
“Era una bella mattina per essere vivi e sentirsi ancora attivi. Sulle acque basse del Bayou Teche c’era un airone azzurro che si beccava le piume, con le zampe sottili e delicate come bacchette di bambù. Un nero anziano seduto su un secchio rovesciato pescava a canna con il galleggiante tra le ninfee, facendo su e giù con l’amo innescato come se il movimento potesse renderlo più attraente per i pesci nascosti lì sotto”.
Arcobaleno di vetro, di James Lee Burke (traduzione di Gianluca Testani; Jimenez Edizioni), è un romanzo capace di scavare nel lato oscuro dell’essere umano, pur mantenendo un profondo senso di giustizia e redenzione. È il diciottesimo capitolo della serie di Dave Robicheaux, l’investigatore di New Iberia, in Louisiana, noto per il suo tormentato rapporto con il passato e la sua lotta continua contro i demoni interiori. In questo volume, Burke non si limita a presentare un’indagine poliziesca, ma esplora il complesso intreccio tra il bene e il male, la colpa e l’innocenza, in un contesto sociale e ambientale che è quasi un personaggio a sé stante.
Il romanzo si apre con un omicidio brutale che scuote la comunità. L’avvocato Spurgeon Landry, un tempo figura rispettata, viene trovato assassinato. Le indagini di Robicheaux lo portano a scontrarsi con figure potenti e corrotte, un tema ricorrente nella narrativa di Burke. L’autore ci immerge nel mondo decadente del Golfo del Messico, con le sue paludi inquietanti, le città piene di vizi e una natura che è allo stesso tempo magnifica e minacciosa. La descrizione di questi paesaggi non è un semplice sfondo, ma riflette lo stato d’animo dei personaggi, contribuendo a creare un’atmosfera unica e avvincente. Arcobaleno di vetro è una riflessione sulla natura della giustizia, sulla fragilità delle relazioni umane e sull’impatto indelebile del passato. Per i fan di lunga data, questo libro rappresenta un capitolo significativo, mentre per i nuovi lettori è un’ottima introduzione al mondo complesso e affascinante di James Lee Burke. La sua capacità di unire una trama avvincente a una profonda indagine psicologica rende questo romanzo un’opera di grande valore letterario.
Mostra, di Federico Pacini (89Books), è un’opera di raffinata sensibilità che eleva il quotidiano a un’esperienza visiva straordinaria. L’autore ci guida attraverso un universo dove il minimalismo non è una scelta stilistica, ma una visione profonda, che rifiuta la spettacolarizzazione e l’artificio. In un panorama saturo di immagini urlanti, le fotografie di Pacini sussurrano, invitando l’osservatore a una pausa riflessiva. L’attenzione si concentra sulla sostanza, sulla luce, sulle geometrie e sui colori che animano in modo discreto paesaggi, oggetti e situazioni. Le sue immagini, pur partendo dal paesaggio, si spingono oltre, addentrandosi nelle pieghe della presenza umana, sia essa diretta o indiretta, facendo dialogare lo spazio e chi lo abita. Nel volume troviamo immagini scarnite, libere da ogni orpello estetico, in cui la forza espressiva risiede nella semplicità e nella diretta rappresentazione della realtà. Mostra è un’esperienza immersiva, un viaggio attraverso piccole vedute quotidiane, sature di quell’intrigante complessità che si nasconde nei minimi segni, nei dettagli che troppo spesso ignoriamo.
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