Jobs Act, la Consulta ha già ampliato la tutela reintegratoria: cosa accadrà col referendum?
- Postato il 16 aprile 2025
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di Adriano Cirillo*
Il D.Lgs. 23/2015 (parte del cosiddetto Jobs Act) aveva sottratto la tutela reintegratoria dell’art. 18 Statuto dei lavoratori agli assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015, prevedendo in caso di licenziamento dichiarato illegittimo per assenza di giusta causa o di giustificato motivo una monetizzazione “a tutele crescenti” in sostituzione della reintegra nel posto di lavoro, creando in tal modo due trattamenti differenti in caso di licenziamento in ragione della data di assunzione.
La Corte costituzionale è intervenuta di recente con due sentenze in materia di licenziamenti illegittimi, modificando in modo significativo le tutele per i lavoratori a cui si applica il cosiddetto Jobs Act. In tale contesto si colloca anche il referendum abrogativo del D.Lgs. n. 23/2015 dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale. Le sentenze della Corte Costituzionale, la n. 22/2024 e la n. 128/2024, hanno rappresentato una svolta nel sistema di protezione contro i licenziamenti ingiustificati, ampliando le ipotesi in cui è prevista la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro anche per i lavoratori che soggiacciono alla normativa del cosiddetto Jobs Act.
Precisamente, con la sentenza n. 22/2024 si è avuto un ampliamento della tutela reintegratoria. La Consulta ha infatti dichiarato l’illegittimità dell’articolo 2, c. 1, del D.Lgs. n. 23/2015, nella parte in cui limitava la reintegrazione ai soli casi di nullità “espressamente previsti dalla legge”. La reintegrazione è ora riconosciuta in tutti i casi di nullità del licenziamento, anche se non espressamente previsti dalla legge, ma riconducibili ai principi generali dell’ordinamento.
Con la sentenza n. 128/2024 si è avuta un’ulteriore estensione della tutela reintegratoria ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ampliando così la protezione dei lavoratori, dichiarando incostituzionale la norma del Jobs Act ove limitava la reintegrazione solo ai casi di licenziamento disciplinare e stabilendo che la tutela reintegratoria attenuata deve applicarsi anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nel caso in cui venga accertata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale alla base del licenziamento.
Tali due pronunce hanno ridefinito profondamente il sistema di tutele contro i licenziamenti ingiustificati, superando alcune rigidità introdotte dal Jobs Act. In tale contesto si colloca il referendum abrogativo del D.Lgs. 23/2015 dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale. L’effetto dell’eventuale approvazione del quesito da parte del corpo elettorale consisterebbe nel ripristino, per tutti i lavoratori operanti in unità produttive con più di 15 dipendenti, della normativa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nel testo riformato dalla legge n. 92/2012, ossia la regola della reintegrazione nel posto di lavoro nei casi più gravi di licenziamento illegittimo (perché del tutto privi di giusta causa o di giustificato motivo).
Il referendum si sovrappone ai suddetti interventi della Corte costituzionale promuovendo l’integrale abrogazione del D.Lgs. 23/2015 per ottenere il ritorno alla disciplina dell’articolo 18. In tal modo, secondo i promotori del referendum, si intende rafforzare la posizione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e ripristinare in molti casi la reintegrazione come sanzione e l’effetto dissuasivo e deterrente che essa ha nei confronti dei datori di lavoro.
La Corte costituzionale ha tuttavia precisato col comunicato del 7 febbraio 2025 che “all’esito dell’approvazione del quesito abrogativo il risultato di un ampliamento delle garanzie per il lavoratore non si verificherebbe in realtà in tutte le ipotesi di invalidità” del licenziamento, perché per alcune di queste (e in particolare nel caso del licenziamento intimato al lavoratore assente per malattia o infortunio, oppure intimato per disabilità fisica o psichica a un lavoratore che non versava in realtà in tale condizione) “si avrebbe, invece, un arretramento di tutela”. Il quesito referendario, conclude la Corte, chiama, infatti, il corpo elettorale “a una valutazione complessiva e generale, che può anche prescindere dalle specifiche e differenti disposizioni normative, senza perdere la propria matrice unitaria”.
È indubbio che, in caso di abrogazione del D.Lgs. 23/2015, si avrebbe un’armonizzazione del sistema normativo in vigore in materia di licenziamenti che attualmente si divide in due differenti normative, da applicarsi a seconda che il lavoratore sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015. Viste tuttavia le recenti statuizioni della Corte costituzionale che hanno ormai già ripristinato lo status quo ante, l’intervento appare quantomeno tardivo e privo di quell’efficacia che i lavoratori avrebbero voluto avere tempestivamente e non con un ritardo di dieci anni.
*Avvocato giuslavorista. Il diritto del lavoro è la materia per la quale ho, da sempre, un particolare interesse, perché convinto della rilevanza sociale e personale che il lavoro ha nella vita delle persone. Ritengo che le persone debbano essere sempre al centro di ogni norma e interpretazione giuridica
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