Al Museo della Montagna di Torino una mostra dedicata a Guido Rey, il ‘Poeta del Cervino’
- Postato il 18 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“L’alpinista italiano più amato e tradotto prima di Walter Bonatti”, dicono i curatori della grande mostra dedicata a Guido Rey che apre oggi al Museo Nazionale della Montagna di Torino.
In effetti, il libro Il Monte Cervino di Rey è considerato il capostipite della letteratura di montagna italiana. Illustrato con 23 disegni a penna e 14 tavole bicolori di Edoardo Rubino più 11 fotografie, con la prefazione di Edmondo De Amicis, esce dall’editore Hoepli nel 1904, ed è subito un successo enorme. Viene subito pubblicato in Germania e in Francia dall’editore Dardel, il quale affida la traduzione a Espinasse Mongenet, già famosa per il suo Dante in francese. La scrupolosa Mongenet – tanto per dire come all’epoca si prendeva sul serio il lavoro di traduzione – scala lei stessa il Cervino per dotarsi della consapevolezza necessaria.
Guido Rey nasce a Torino l’anno dell’Unità d’Italia, il 26 novembre 1861, nel palazzo di via Cavour al numero 35. I Rey, commercianti nel ramo delle stoffe, appartengono alla buona società cittadina e sono imparentati con i Sella, l’importante famiglia di industriali di Biella. Tra i Sella spicca il nome di Quintino, ministro del Tesoro nonché fondatore del Club Alpino Italiano nel 1863.
Siamo nella Torino del secondo Ottocento, che non è più la capitale d’Italia (è stata “decapitalizzata”, o “decapitata”, come qualcuno dice allora con una certa ironia amara), vanta però il prestigio di essere diventata la “capitale delle montagne”. Al parco del Valentino è nato il Club Alpino Italiano. E le Alpi non sono più solo un dato geografico, ma una passione diffusa. Tra le classi agiate fare del moto lungo sentieri e pareti alla “maniera degli inglesi” significa stare al passo con la moda del momento.
Rey si lega in cordata con i rampolli del bel mondo cittadino destinati a diventare valenti alpinisti, come i Vaccarone, i Bobba, i Fiorio e i Ratti (i loro nomi li ritroviamo ancor oggi qua e là sotto forma di qualche toponimo alpino o di qualche dedica di rifugio). Arrivano importanti vittorie alpinistiche, come la Sud della Ciamarella, o il crestone sud della Punta Dufour, o gli speroni est e nordest del Monviso, o ancora la cresta nord della Bessanese, o la traversata della Grivola, e naturalmente il Cervino. Ma ai plausi Guido reagisce minimizzando, facendo spallucce, secondo il proverbiale spirito che caratterizza la sua città: tenersi in disparte, non apparire, cedere la ribalta ad altri.
Quando scoppia la prima guerra mondiale, fa domanda di arruolamento come volontario, che però è respinta per raggiunti limiti d’età (ormai i 50 li ha superati da un pezzo). Ma non demorde. Si mette a disposizione della Croce Rossa. Parte con la sua Fiat per dare soccorso ai feriti in arrivo dalle prime linee. Dopo due anni tra barelle e feriti, arriva il brutto incidente d’auto che lo costringerà al ritorno a Torino. È ferito al torace, e non tornerà più in piena salute. Gli ultimi anni saranno un lento addio ai monti e alla vita.
La storia ha appiccicato addosso a Guido Rey l’etichetta di “Poeta del Cervino” e anche dell’autore di quel motto riportato sulla tessera del Cai, “…io credetti e credo la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede”. Una retorica destinata a diventare simbolo in negativo per i sassisti e gli scalatori degli anni della contestazione, che vedevano proprio in quella proverbiale “lotta con l’Alpe” il fardello da dismettere.
Attraverso gli altri suoi libri, Alpinismo acrobatico, Alba Alpina, Il tempo che torna, attraverso le sue innumerevoli fotografie scattate in parete, Rey ci lascia una visione melanconica e tutta letteraria della montagna. Una montagna che porta a rompere l’idea aristocratica e borghese dell’inconciliabilità tra sforzo fisico e appagamento dello spirito. Si spegne il 24 giugno 1935, nella sua casa dove era nato 74 anni prima, in via Cavour 35.
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