Jan van der Haar e le apocalissi della vita (Traduzione di Patrizia Filia)
- Postato il 5 dicembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Jan van der Haar (Paesi Bassi, 1960) è poeta e traduttore letterario. Ha pubblicato finora tre raccolte di poesie: nel 2012 Vrolijk scheppen (Creare con allegria), nel 2014 Ouderliefde (Amore genitoriale) e nel 2019 Eerst de bries, daarna de bomen (Prima la brezza, poi gli alberi). Nel 2011 vince il premio Poëzie-award per la poesia “De ruil” che apre la raccolta Vrolijk scheppen, nell’ambito del festival Utrecht su Utrecht. Nel 2015 tre sue poesie, tradotte da Gandolfo Cascio, escono in Italia nel terzo numero di «Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea». Nel 2022 altre tre sue poesie, sempre tradotte da Gandolfo Cascio, escono nel quarto numero della rivista italiana «Letteratura e Pensiero».
Ha tradotto in nederlandese raccolte poetiche di Giorgio Bassani (Epitaffio), Elsa Morante (Alibi) e Eugenio Montale (Altri versi), nonché circa settanta opere in prosa quali, tra altre, Solus ad solam e Notturno di Gabriele d’Annunzio; Kaputt, La Pelle e altre cinque opere di Curzio Malaparte; Il giardino dei Finzi-Contini, Gli occhiali d’oro e Dentro le mura di Giorgio Bassani; Giù la piazza non c’è nessuno di Dolores Prato; Le piccole virtù, Lessico famigliare e Mai devi domandarmi di Natalia Ginzburg; la pentalogia M di Antonio Scurati e Prima di noi di Giorgio Fontana.
Prima di conoscerlo personalmente, mai mi sarei immaginata che questo infaticabile traduttore olandese di molti autori italiani di gran peso potesse essere anche poeta, e poeta di tanta leggerezza e ironia, presenti sia quando scrive di sé o del mondo che lo circonda. Si potrebbe dire che è la leggerezza e l’ironia della disperazione, scaturite da una vita intensamente vissuta, a volte tribolata, dall’infanzia fino alla maturità, quest’ultima bellamente immortalata nella foto di Saar Rypkema. Allora, traducendolo non posso fare a meno di sorridere con affetto a quell’adolescente in vacanza in Zelanda, confrontato con la sua incerta identità e con la voglia e il timore di scoprire in cosa consistono davvero le apocalissi. Traducendolo ritrovo l’adolescente che sono stata, altrettanto incerta e in ricerca.
P.F.
***
Zomer in Zeeland I
Streekromans lezen op je buik
zoals Een nest vol tuinfluiters
op het tapijt in de pronkkamer.
Je laten afleiden door minder
leeslustigen die je Bloody Mary
lieten horen en je plooiden naar
de schrik der zee. Het was zomer
en dit was je grote logeervakantie.
Je leefde want je wist niet beter en
de wereld wilde jou doen uitvinden.
Misschien lag er wat verborgen in
de vette worstenballen bij het ontbijt.
Je was al voorgelicht in de wonderen
van het Zwarte Woud die scholen in
een pengetekende gevarendriehoek.
Je snapte er geen bal van vond het
allerminst alarmerend er was zoveel
wat je niet snapte en je was niet bang.
Je verheugde je op de zondagse bolus.
*
Estate in Zelanda I
Leggere romanzi regionali come
Un nido pieno di beccafichi disteso
prono sul tappeto del soggiorno.
Lasciarti distrarre dalla meno voglia
di leggere che Mary la Sanguinaria
ti suscitava e che ti piegava al
dominatore dei sette mari. Era estate
ed era la tua grande vacanza da ospite.
Vivevi perché non sapevi fare altro e
il mondo voleva che tu scoprissi.
Forse c’era qualcosa di nascosto
negli unti polpettoni a colazione.
Eri già informato delle meraviglie
Della Foresta Nera figurate in un triangolo
di avvertimento disegnato a penna.
Non ci capivi un tubo senza trovarlo
per niente allarmante e c’era così tanto
che non capivi e non avevi paura.
Ti rallegravi pensando al dolce domenicale.
***
Zomer in Zeeland II
Je was op zoek zonder te weten
waarnaar. Je sloop hun kamer in
deed hun kledingkast op een kier
bevoelde lingerie het ondergoed
van de heer en vrouw des huizes:
Chick was een dame op een man
die aan haar vastgeangeld oogde.
Je wist het wereldraadsel gestuit
maar hoe moest dit nu afgehecht?
Je bladerde angst en zucht door
in een poedergeel licht van buiten
dat je bij je positieven bracht. Tot
de dochter des huizes tongde helle-
kringen hemelsferen explosieven
openden Avondsterren openbaarden
apocalyptische tienerhersenspinsels
die via de aorta en de kransslagaders
je hart bereikten en er een potje van
maakten worstelend met de janboel.
*
Estate in Zelanda II
Eri in cerca senza sapere dove.
Ti intrufolasti nella loro camera
socchiudesti il loro armadio
palpasti la biancheria intima
del signore e della signora di casa:
la rivista con una madama su un
uomo come inchiodato a lei. Sapevi di
esserti imbattuto nell’enigma del mondo
ma cosa dovevi fare per scioglierlo?
Sfogliasti angosce e sospiri
nella luce di fuori giallognola
che ti fecero tornare in te. Finché
la figlia di casa non si mise a slinguare
aprendo bolge infernali esplosive sfere
celesti svelando stelle serali spiattellanti
apocalissi adolescenziali che attraverso
l’aorta e le arterie coronarie avrebbero
raggiunto il tuo cuore provocando un
tumulto in lotta con il caos che era il tuo.
***
Zomer in Zeeland III
Het platenmeubel was een toverdoos op poten
die Sophietje ranja liet drinken met een rietje.
En zo was alles nieuwer dan je nieuw wist.
Boven stond de kaptafel van de gastvrouw
met twee zijspiegels die onbekende slinkse
kanten boden van je onvermoede profiel.
IJzend viel je blik op een wit piepschuimen
dameshoofd met een krullentooi: de pruik
van je onechte tante voelde je. Hij glansde
aubergine en geurde zacht naar sandelhout.
Met trillende handen pakte je het wonder op
en misschien is daar je zelfspot wel ontstaan.
Je greep met een ruk naar een lipstick bracht
die naar je mond. Hij maakte fiere felle vegen
die je nog meer deden gruwen van je eigen ik
en je mijmerde waarom ben ik ook geen vrouw
dan kon ik iemand anders wezen iemand die
zich van zichzelf zou weten te verlossen.
Mocht de ultieme, tomeloze verlossing bestaan.
*
Estate in Zelanda III
Il mobile dei dischi era una scatola magica su gambe
che faceva bere a Ninuccia cedrate con la cannuccia.
E così tutto era più nuovo di quanto tu trovassi nuovo.
Al piano di sopra c’era la toletta della signora
con due specchietti laterali che riflettevano
lati sconosciuti del tuo inaspettato profilo.
Il tuo sguardo cadde aborrito su una testa di donna
di polistirolo bianco con sopra un copricapo ricciuto:
era la parrucca della tua finta zia. Scintillava color
melanzana e odorava leggermente di legno di sandalo.
Con mani tremanti prendesti la meraviglia ed è forse
proprio allora che nacque la tua autoironia.
Con uno scatto afferrasti un rossetto e te lo portasti
alle labbra. Impresse fieri sfregi sgargianti che
ti fecero ancora più inorridire di te stesso
e riflettesti sul perché non eri anche tu una donna
nel qual caso avresti potuto essere qualcun altro
in grado di liberarsi di se stesso.
Fosse mai esistita l’ultima e smodata redenzione.
***
Zomer in Zeeland IV
De juunlucht zinnenprikkelde je wangen
en de zilte kreten van de zwaluwen boven
je hielden de verwachtingen laag gestemd.
Het eten was telkens een dringende massa
om doorheen te werken zonder morren
met beschaafde ellebogen zonder smakken.
Het Onze Vader van onechte tante was
inmiddels uitgejengeld: ‘Uw naam worde
hegeiligd…’ en dat hebeurde in de gemelen.
O de gebakken eieren met spek sputterden
in de pan en knisperden op je tarweboterham.
Om de beurt klonk: ‘Here zehen deze spijze.’
De dochter des huizes gaf je goede bekomst:
‘Jananne zumme hen vrieje?’ Je schrok helegans.
Het klonk alsof je mee moest naar het stadhuis.
De trap op naar de hanenbalken naar het hokje
met veel houtbetimmering en daar vlijde je
de Zeeuwse Jacoba neer op een paardendeken
om kuis en koninklijk over haar heen te buigen.
*
Estate in Zelanda IV
L’aria cipollosa ti pizzicava le guance
e le grida saline delle rondini sopra di te
tenevano accordate basse le aspettative.
Il pasto era ogni volta una massa pressante
da ingollare senza brontolare masticando
a bocca chiusa e con gomiti ben educati.
Il Padre nostro della finta zia cominciava
intanto a gragnolare: “Sia santificato il tuo
nome…” e quello accadeva nei cieli.
Oh le uova fritte in padella con la pancetta
e sfrigolanti sulla tua fetta di pane. A turno
risuonava: “Signore benedici questo cibo.”
La figlia di casa ti dava più che a sufficienza:
“Jananne vieni con me?” Da rimanerci stecchito.
Come se tu dovessi accompagnarla all’altare.
Dalle scale fino alle travi portanti fino al gabbiotto
con rivestimenti in legno e lì ti mettevi a coccolare
la zelandese Jacoba stesa su una coperta per cavalli
chinandoti su di essa casto e solenne.
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