In mostra a Milano le sculture di Valerio Berruti sono bambini ma sono anche più che bambini
- Postato il 29 luglio 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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I bambini che Valerio Berruti (Alba, 1977) scolpisce non hanno fronzoli. L’essenzialità è nel loro vestire, mutandine e canotte. Il loro sorriso accennato è quello dell’infanzia. Ma non hanno un’espressione gioiosa e sognante. Sono già in grado di giudicare. I loro sguardi possono essere inquietanti. Nei loro volti si legge la ferita della guerra. La via crucis del migrante. La catastrofe climatica. Tuttavia, sembrano dirci che non tutto è perduto. Tendono a presentarsi come l’ultima generazione che può invertire la rotta.
Sono i More than kids, i più che bambini, quelli che l’artista propone nel Palazzo Reale di Milano. Le loro posture, il loro atteggiarsi non rispettano limitanti categorie temporali. Il mezzo busto della bambina alto otto metri ha qualcosa di felliniano. Inseribile in una acronia narrativa. L’opera è una fusione di alluminio imbullonato che i visitatoti incontrano nel cortile del Palazzo. Don’t let me wrong (Non fraintendermi) è il suo nome. Prevede un accesso interno visitabile. Se esteriormente la grande testa paffuta con le due treccine che la decorano può incantare chi guarda, andando dentro ci si imbatte nel cortometraggio di Berruti.
Il cortometraggio di Valerio Berruti in un’opera monumentale a Milano
Ottocento disegni in successione accompagnati dalla musica di Daddy G dei Massive Attack. Cosa racconta il video? Si scatena un temporale con relativi nuvoloni che incalzano e terrorizzano la bambina facendola fuggire. E alla fine la scultura, uscendo dal percorso, non sembra così sognante.

La poetica di Valerio Berruti in mostra a Palazzo Reale
In una recente intervista Berruti ha spiegato: “l’arte deve essere una riflessione su di noi. Altrimenti resta qualcosa di ostile. E invece deve tendere la mano allo spettatore e portarlo nel suo mondo. Allora sì che iniziano i messaggi. Allora sì che è arte e non tappezzeria”. Da qui nasce l’interesse dell’artista per l’infanzia dove ci si può specchiare. Perché l’infanzia legge il mondo con autenticità. Stimola lo scavo nel profondo alla ricerca degli archetipi in grado di fronteggiare la tossicità di ogni estremismo. Qualsiasi atteggiamento che incrementa il male di vivere. Solo così l’arte si fa monito. “L’arte parla di vita o di morte. Quella di Damien Hirst parla di morte. La mia parla di vita”. Sottolinea con decisione Berruti. L’estetica non deve essere scissa dall’etica. “Chi ha una voce deve usarla per migliorare il mondo”.





Le opere di Valerio Berruti a Milano
Sono opere che richiedono diversi livelli di interpretazioni. Da quello estetico dall’impatto immediato, a quello gradualmente più profondo. In More than kids, sostiene il curatore Nicolas Bellario: “Berruti incarna il regista che suscita emozioni, sentimenti. Fa sussultare, sorridere, commuovere, riflettere”.
Tra le opere esposte A safe place, 2025 è un dittico in vetroresina e cemento, con bambini che, con un salvagente, nuotano nella sala iniziale del Palazzo, come se fossero in acqua; ma la prospettiva è capovolta. E di molto. Perché, se in condizioni normali il salvagente rimanda all’innocente divertimento estivo, per il migrante è legato alla sopravvivenza. Nel nome del padre, 2024, in vetroresina, cemento e juta, Berruti pone in semicerchio quarantuno sculture; bambine inginocchiate in una stanza buia tagliata da una striscia di luce, in attesa di un ordine che non arriva. La bambina che dovrebbe impartirlo, quarantaduesima statua, ha lo sguardo abbassato. In lacrime, si rifiuta di farlo perché ne decreterebbe la morte. La Giostra di Nina è un’installazione con un carosello che presenta uccelli invece dei cavalli. Priva di luci colorate, ha un ritmo pacato ed è accompagnata dalla colonna sonora di Ludovico Einaudi. Perché la musica? Berruti risponde: “ho sempre visto l’opera in uno spazio. E lo spazio è fatto di musica”. Three (parts of) me, in alluminio del 2025, comprende tre bambine sedute sopra una base d’acciaio che si sorreggono sulle braccia come se prendessero il sole. L’opera si ispira a un haiku giapponese secondo cui ognuno di noi si porta dentro tre spiriti che, se non equilibrati, generano problemi.
Fausto Politino
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