“Il testo come forma e spazio”. L’artista Francesca Brugola si racconta
- Postato il 27 luglio 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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La pratica di Francesca Brugola (Carate Brianza, 1996) si esprime attraverso gesti minimi: si tratta, talvolta, di opere al limite del mimetico rispetto allo spazio che le accoglie; in altri casi, invece, i lavori hanno una presenza più marcata, ma mai muscolare. Sembra che l’artista desideri instaurare un dialogo con gli ambienti basato sulla seduzione piuttosto che sull’imposizione. È in questa prospettiva che sono da leggere i suoi interventi, che presentano sempre un che di residuale: disegni poggiati a contatto con il pavimento o realizzati direttamente a parete; installazioni luminose che emettono flebili bagliori, simili a lampadine che ci si è dimenticati di spegnere; fogli stampati e attaccati al muro con del nastro adesivo; sculture formate da elementi sottili, che si reggono su un equilibrio incerto. Oggetti prelevati dalla vita di tutti i giorni, come una lista della spesa, trovano nel lavoro di Brugola un’attivazione magica e misteriosa, a metà tra quotidianità e dimensione onirica. La lettura delle opere non conduce a un solo tema. A unirle, sembra sia piuttosto un’attitudine – un garbo, mi verrebbe da dire – che va al di là di contenuti e significati.








Saverio Verini in dialogo con Francesca Brugola
L’interpretazione delle tue opere è tutt’altro che esplicita. È forse questo uno degli aspetti che più mi intriga della tua pratica, che mi pare rinvii sempre a qualcos’altro, qualcosa da cercare magari lontano dall’opera. Mi chiedo se sia effettivamente così o se in realtà i riferimenti siano più concreti di quanto io creda.
Mi verrebbe da dire che la mia pratica sia incerta di costituzione, che si posiziona in biblico tra universi semantici e visivi. Il percorso per arrivare a una forma più o meno definita è spesso molto lungo e in questo tempo i miei lavori si stratificano di allusioni a questo e quell’altro. Così, io credo, che in tale accumulo prolungato anche i riferimenti più chiari si opacizzino fino a non essere più distinguibili, ed è qui forse che si delinea l’aspetto evasivo che individui. Se dovessi identificare un intento dietro la mia pratica sarebbe quello di innescare in chi osserva una confusione mirata, quella della messinscena e del dubbio. Ti ringrazio molto per questa osservazione, perché mi fa pensare che in una certa misura, accada.
Ho l’impressione che la tua ricerca si nutra di rimandi ad altre discipline. È così?
Alla base della mia ricerca c’è una mania, direi, per il testo, come forma e spazio. Così, spesso, i miei ragionamenti iniziano spontaneamente da testi letterari, poesie, script teatrali, lettere, liste, note. Osservando il testo non tanto, o non solo, nel suo contenuto ma piuttosto nella sua architettura; è fisiologico trovare connessioni tra la mia ricerca e teorie inerenti ambiti come la linguistica, la semiotica e la traduzione. Di queste discipline mi interessa la metodicità e di come io, che non ho alcuna formazione specifica in questo senso, possa attingervi assecondando un certo tipo di spontaneità piuttosto che un tentativo di applicazione corretta. In aggiunta, mi sembra di poter dire che anche la sociologia e la filosofia politica definiscono il contesto all’interno di cui la mia ricerca si muove.
Ora però sarei curioso di conoscere i tuoi riferimenti in ambito più strettamente visivo…
Ho una lista approssimativa di nomi di artiste e artisti che osservo attentamente, la quale si amplia e restringe nel tempo. In ordine sparso: Chiara Fumai, Shilpa Gupta, Myriam Laplante, Liliana Moro, Dora Garcia Lopez, Cally Spooner, Sophie Calle, Monica Bonvicini, Marisa Merz, Sarah Haynes, Iván Argote, Nora Turato, Micheal E. Smith, Claire Fontaine, Tomaso Binga, Mika Rottenberg, David Horvitz, Zara Schuster. E altri sicuramente si aggiungeranno nel tempo.
Alla soglia dei trent’anni e con alle spalle alcune esperienze espositive che si sono progressivamente intensificate tra il 2021 e oggi, come valuti il tuo percorso artistico? Quali sono le difficoltà, le gratificazioni e i compromessi con cui ti misuri?
A oggi definirei il mio percorso artistico misurato. Di certo c’è che, dagli studi in poi, ho preferito occupare spazi riconducibili alla soglia piuttosto che al centro; fare il giro lungo, come si dice. Mi sono spesso ritrovata a dedicare lunghi periodi allo studio, senza mai formalizzare. Questa necessità ha determinato dei rallentamenti nella produzione, per come spesso viene intesa in ottiche più commerciali. La mia difficoltà più grande sta, infatti, nel trovare un compromesso tra le richieste di tempo della ricerca e le richieste della professione d’artista, ovvero far uscire qualcosa dallo studio, ogni tanto. Forse è però anche grazie a questo approccio al lavoro che sono riuscita in questi anni a costruire rapporti e collaborazioni con colleghe e colleghi senza aspettative grandiose, ma solo per la volontà di attivare delle conversazioni, degli spazi, evadendo l’individualismo dell’artista genio e iper-performativo. Di sicuro è qui che ho trovato i momenti più gratificanti del mio percorso finora.
A quali progetti ti stai dedicando in questo momento?
Sto lavorando a due nuovi progetti che verranno presentati rispettivamente ad Ascoli Piceno e Milano tra maggio e settembre. In entrambi i casi le riflessioni si estendono attorno ai binomi voce-identità, voce-collettività. Per Ascoli sto preparando un’installazione audio che sarà posizionata nelle aree di passaggio dello storico Palazzo dei Capitani. A essere esposte saranno le confessioni di una ghostwriter circa la sua esperienza professionale all’interno del generico, o assoluto, palazzo del potere. È una riflessione attorno al fenomeno del dog whistling in politica (l’abitudine di inserire nel discorso politico delle parole chiave che nascondono un messaggio assai più sottile e velenoso, NdR), ma soprattutto sul processo attraverso il quale la protagonista riconosce di poter avere un ruolo attivo e destabilizzante all’interno del palazzo. In un’operazione di estrazione della grammatica spaziale del palazzo, attraverso azioni ridotte al minimo, la protagonista inizia a decodificare le informazioni di questa specifica architettura, la quale diventa spazio simbolico del linguaggio e del suo sabotaggio.

E invece, cosa stai preparando per Milano?
Per il secondo progetto, che sarà presentato nell’ambito del Premio San Fedele a Milano, la riflessione si sviluppa a partire dal fenomeno acustico dell’eco. Fin dal mito di Eco vi è l’equivoco che la ripetizione delle parole (dell’ultima nel caso della ninfa) di altre persone sia sempre una sentenza e mai una scelta consapevole. Ragionando sulle teorie di Spivak circa il silenziamento sistemico e il reclamo della propria voce da parte della classe subalterna e riferendoci a teorie di Butler e Lorde circa processi di risignificazione linguistica, insieme a Stefano Cavaliero stiamo lavorando a quella che sarà un’installazione audiovisiva. In questo lavoro la ripetizione attiverà processi di distorsione fonologica e di significato che suggeriscono un’autonomia d’azione del linguaggio stesso.
Chi è Francesca Brugola
Francesca Brugola è nata a Carate Brianza nel 1996. Dopo il diploma triennale in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera ottiene nel 2022 un MFA alla Manchester School of Art, Manchester Metropolitan University, con il progetto Unintentional Legacies. Attualmente vive e lavora a Milano. Il suo lavoro è stato esposto in diversi spazi, tra cui: Colli Gallery, Foligno (2025); Cité Internationale des Arts, Parigi (2023); Confort Mental, Parigi (2023); Associazione 21, Lodi (2023), Condominio xyz, Milano (2023); Manchester Art Gallery, Manchester (2022); Galerie Interface, Digione (2019). È stata residente nel 2023 alla Cité Internationale des Arts, Parigi, attraverso il programma Nuovo Grand Tour promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea. È artista selezionata per l’edizione 2025 de il Premio Sparti, Ascoli Piceno, e il Premio San Fedele, Milano. Ha collaborato con Balloon project e curato testi critici in collaborazione con Les Atelier Vortex, Digione; LAMBX e AcidoLattico magazine, Mestre; SpazioLaLepre, Tortoreto Lido, Genealogie del futuro, MilanoSaverio Verini
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L’articolo "“Il testo come forma e spazio”. L’artista Francesca Brugola si racconta" è apparso per la prima volta su Artribune®.