Il sistema di pesi e contrappesi regge la politica Usa: così il meccanismo rischia di incepparsi
- Postato il 20 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Questa settimana il governatore della Federal Reserve americana, Jerome Powell, ha ribadito i mandati che gli sono stati dati dal congresso americano: stabilità dei prezzi e difesa dell’occupazione. Le azioni della Fed ruotano intorno a questi due principi. Un’economia che funziona è quella dove esiste l’occupazione e dove i salari non si ‘deprezzano’ a causa dell’inflazione. Powell ha anche espresso preoccupazione nei confronti delle politiche dei dazi che hanno prodotto tariffe sulle importazioni a raffica nelle ultime due settimane.
Donald Trump ha espresso la sua disapprovazione arrivando anche a dichiarare che Powell non sa fare il suo lavoro, che è lento nelle decisioni e nel suo stile colloquiale: ha praticamente detto che prima se ne va meglio è. La rotta di collisione tra i due è pericolosissima, non solo per l’economia americana e mondiale – se Powell viene rimosso i mercati entreranno in un panico ben maggiore di quello delle ultime due settimane, il dollaro rischia di schiantarsi e stabilizzarsi ad un tasso di cambio bassissimo che metterebbe tutte le altre monete in crisi e così via – ma la rimozione di Powell in quanto non gradito alla Casa Bianca minerebbe le fondamenta del sistema dei checks and balances, ovvero dei pesi e contrappesi della repubblica federale americana.
Il sistema politico degli Stati Uniti si regge su un principio tanto semplice quanto rivoluzionario: nessuno può detenere tutto il potere. È il cuore pulsante della democrazia americana, una costruzione architettonica pensata per impedire la tirannia — non quella dei monarchi, ma quella più subdola dell’ambizione politica. Questo principio è sancito dal meccanismo dei pesi e contrappesi: un sistema che distribuisce il potere tra tre organi distinti — legislativo, esecutivo e giudiziario — e li obbliga a controllarsi a vicenda.
Il Congresso, cioè il potere legislativo, crea le leggi. È composto da Senato e Camera dei Rappresentanti. Il Presidente, che guida l’esecutivo, ha il compito di farle rispettare. Infine, la Corte Suprema e i tribunali federali formano il potere giudiziario, che interpreta le leggi e valuta se siano conformi alla Costituzione. Un esempio emblematico di questo equilibrio è il ruolo della Riserva Federale, considerata la banca centrale americana. Il suo presidente viene nominato dal Presidente degli Stati Uniti, ma con una clausola fondamentale: il Senato deve confermarne la nomina. Una volta insediato, il capo della Fed ha un mandato di quattro anni, che non può essere revocato a piacimento dall’esecutivo.
Jerome Powell, ironia della sorte, è stato scelto da Trump durante il suo mandato. È stato confermato da Biden e il suo mandato finisce nel 2026. In altre parole, il Presidente non può licenziarlo perché non gradisce le sue decisioni sui tassi d’interesse o sulla politica monetaria. Questo vincolo non è solo un dettaglio tecnico: è una garanzia politica. Significa che la stabilità dell’economia americana non è ostaggio dell’umore presidenziale. Un Presidente che spinge per abbassare i tassi prima delle elezioni, ad esempio, non può costringere la Fed ad assecondarlo. Anche qui, il sistema erige un muro tra il potere politico e quello economico, proprio per evitare che l’uno si trasformi nell’ombra manipolatrice dell’altro.
Ma la vera intelligenza del sistema sta nel fatto che nessuno può agire in piena autonomia. Se il Congresso approva una legge, il Presidente può metterci il veto. Se però il Congresso ritiene quella legge necessaria, può scavalcare il veto con una maggioranza qualificata. Nessun potere è assoluto, tutto è relativo. Tutto è trattativa, confronto, e — quando serve — conflitto istituzionale.
Il Presidente, a sua volta, nomina i giudici della Corte Suprema, ma non può farlo da solo: il Senato deve approvare ogni nomina. E la Corte? Anche questa ha un potere enorme: può dichiarare incostituzionale qualsiasi legge o ordine esecutivo, anche se firmato con entusiasmo dalla Casa Bianca o approvato a furor di popolo dal Congresso. Un colpo secco, definitivo. È il diritto di dire “no” anche al potere che ha già vinto.
Questo sistema è stato pensato non per facilitare il governo, ma per rallentarlo. Per mettergli ostacoli, domande, dubbi. Per molti oggi è il contrario dell’efficienza. Ma in realtà la lentezza istituzionale è concepita come antidoto agli abusi. In sostanza, la democrazia americana funziona come una partita tra tre giocatori: uno fa le regole, uno le applica, e uno controlla che siano giuste. Se uno di loro cerca di barare o di dominare gli altri, il gioco si blocca. Ecco perché, in teoria, nessuno può diventare un sovrano assoluto.
Questa macchina così raffinata e complessa funziona solo se chi la guida crede davvero nella sua efficienza. Se i protagonisti iniziano a manipolare le regole, a ignorare i controlli o a usare la legge come arma, allora anche il sistema più sofisticato può incepparsi. I pesi e contrappesi diventano illusioni, e il potere torna ad accumularsi dove non dovrebbe.
Ecco perché, oggi più che mai, capire e difendere questo equilibrio non è solo un esercizio di educazione civica, ma un impegno politico e i mercati che negli ultimi giorni hanno voltato le spalle alle obbligazioni americane e al dollaro questo lo sanno bene.
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