Il paradosso della consulenza bancaria: quando manca proprio il supporto che conta
- Postato il 6 settembre 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
Uno studio di Vanguard (“Advisor’s Alpha”, 2022) ha messo in luce un dato sorprendente: il 45% del valore che i clienti attribuiscono a un consulente finanziario risiede nel supporto emotivo, non nei calcoli, non nei grafici, non nelle proiezioni algoritmiche. Ciò che le persone desiderano davvero è qualcuno capace di ascoltarle, di interpretare le loro paure, di restituire sicurezza e comprensione nei momenti cruciali della vita.
Pensiamo a chi affronta un divorzio, a chi deve vendere un’azienda costruita in anni di sacrifici, a chi si prende cura di un genitore anziano, o semplicemente a chi si interroga sul proprio futuro pensionistico. In tutte queste situazioni, il consulente dovrebbe essere la guida fidata, capace di illuminare le possibilità e sostenere le decisioni.
Eppure, paradossalmente, proprio nel settore bancario accade il contrario. Nei momenti difficili, quando i clienti avrebbero più bisogno di relazione umana, i consulenti bancari diventano sfuggenti. È facile riempirsi la bocca di parole come “fiducia” e “partnership” quando i mercati sono sereni e i portafogli crescono. Ma quando arriva la burrasca, troppo spesso i consulenti si dileguano o, peggio ancora, fanno dell’omissione la loro regola di comportamento.
Attenzione: non significa necessariamente che dicano bugie (anche se, a volte, capita pure quello). Ma, come amava ripetere un top manager della banca in cui ho lavorato: “In banca non si dicono bugie, ma non bisogna dire tutto”. E quel “non dire tutto” è la forma più subdola di inganno: un’arma usata per lasciare i clienti nell’ombra, privandoli della piena consapevolezza delle loro scelte.
L’omissione, in questo contesto, diventa un’arma subdola. Non si tratta di frode dichiarata, ma di una strategia sistematica di silenzi, utile a proteggere l’istituto e non il cliente. È la scelta di non raccontare i rischi reali di un prodotto, di minimizzare le conseguenze di un crollo di mercato, di non proporre soluzioni alternative per paura che possano generare meno margini per la banca.
Il cliente, che si aspettava presenza e trasparenza, si ritrova solo con frasi fatte: “Vedrà che si riprende”, “È solo un ciclo”. Ma non servono slogan, serve vicinanza. Perché la vita non è un grafico in attesa di rimbalzo: è fatta di scelte concrete, di ansie reali, di responsabilità quotidiane. È un po’ come affidarsi a un medico che ti prescrive vitamine quando stai bene, ma che scompare dalla corsia d’ospedale quando arriva la malattia. La consulenza bancaria, quando manca del suo aspetto più prezioso – la dimensione emotiva – si riduce a mera vendita di prodotti, un copione recitato a beneficio della banca più che del cliente.
Il problema non è la mancanza di strumenti tecnici, ma di lealtà e coraggio. Perché nel momento della crisi la priorità di molti consulenti bancari non è stare accanto al cliente, ma proteggere l’istituto di appartenenza e ancor di più se stessi dalle precedenti consulenze, quasi sempre orientate a salvaguardare budget e premi. Così, proprio quando servirebbero empatia, sincerità e presenza, il cliente scopre la verità più amara: la consulenza promessa era una maschera, non una relazione.
Eppure il futuro della consulenza non può che passare da lì: dalla capacità di restare accanto al cliente non solo nei momenti di crescita, ma soprattutto quando la vita si complica. Il valore reale non sta nel “fare conti”, ma nel trasformare quei conti in fiducia, comprensione e azione condivisa. Chi non lo capisce perderà clienti.
L'articolo Il paradosso della consulenza bancaria: quando manca proprio il supporto che conta proviene da Il Fatto Quotidiano.