Giocattoli per bambini con Ai generativa: così gli smart toys raccolgono dati e sfidano la privacy

  • Postato il 8 dicembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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di Cibelle Dardi

Dicembre, stagione di tredicesime e scontrini lunghi, vede la macchina dei consumi natalizi accelerare a pieno regime. Tra le corsie dei supermercati e le vetrine online, quest’anno emerge un ospite speciale, non si vede ma si percepisce ovunque: l’intelligenza artificiale generativa. In pochi anni, i giocattoli con IA generativa (smart toys) hanno soppiantato il bambolotto con chip: orsetti che creano storie, robot che memorizzano abitudini e console perennemente connesse.​

La questione non è soltanto tecnologica, è soprattutto economica: il giocattolo non è più il prodotto finale, ma diventa il terminale di una filiera di raccolta dati. I report Trouble in Toyland 2025 e Privacy Not Included di Mozilla evidenziano come, in molti smart toys, sicurezza e tutela dei minori cedano il passo ai margini di profitto e alle esigenze di lancio sul mercato in tempi rapidi. Gli smart toys sono giocattoli interattivi connessi via Wi‑Fi o Bluetooth, equipaggiati con microfoni, fotocamere, geolocalizzazione e sensori: il bambino non interagisce con un semplice peluche, ma con server remoti che accumulano dati su comportamenti e voce, sollevando dubbi sulla privacy.

Uno studio dell’Università di Basilea ha valutato 12 smart toys presenti sul mercato europeo, riscontrando criticità rilevanti di conformità al Gdpr, dall’assenza di crittografia adeguata nel traffico dati di alcuni dispositivi alle app che chiedono permessi (microfono, geolocalizzazione) non sempre necessari al semplice funzionamento del gioco.

Tra i nuovi arrivi sugli scaffali c’è anche Poe l’Orso Peluche Racconta Storie, distribuito da Giochi Preziosi. Si tratta di un peluche che utilizza l’IA generativa per creare favole personalizzate, appoggiandosi all’app Plai Ai Story Creator e a un’infrastruttura cloud per l’elaborazione del linguaggio. Secondo quanto dichiarato dal produttore nelle Faq di supporto, i dati non vengono venduti e le informazioni inserite nell’app servono unicamente a personalizzare la storia; resta il fatto che questo scambio continuo di input abitua il bambino all’idea che l’accesso all’intrattenimento passi attraverso la condivisione di dati.

Anche le icone del passato cambiano pelle: il Tamagotchi Uni di Bandai, erede dell’ovetto anni ’90, oggi si connette al Wi‑Fi per entrare nel Tamaverse, metaverso proprietario dove si incrociano personaggi, oggetti virtuali ed eventi globali. Quel che era un circuito chiuso sul piccolo display diventa così un nodo di rete, aggiornato da remoto e immerso in uno scambio continuo di dati, che richiede ai genitori molta più attenzione e competenza digitale.

Il quadro è ancora più preoccupante nel segmento low cost, popolato da robot interattivi che replicano funzioni e design dei modelli di punta – come i cani robot tipo Dog‑E – e vengono venduti in massa su piattaforme e-commerce. In questo segmento, il rischio privacy si intreccia con l’opacità di produttori extra Ue e informative spesso difficili da ricostruire. Le app proprietarie che gestiscono gli smart toys, come ricordano anche le schede informative del Garante, tendono spesso a richiedere permessi estesi – per esempio accesso a microfono, memoria del dispositivo o geolocalizzazione – non sempre proporzionati alle effettive esigenze di funzionamento del gioco.​

In pratica, si regala un giocattolo e si porta in casa un “cavallo di Troia” digitale, con il rischio che i dati finiscano su server fuori dallo Spazio economico europeo, dove valgono regole diverse dal Gdpr.

La direzione è chiara: la mercificazione dell’utente parte dalla culla. Se un robot con IA generativa costa poche decine di euro, il vero margine è nel profilo digitale del futuro consumatore, costruito sulle sue interazioni. La cameretta smette di essere rifugio privato e diventa una miniera di dati, dove l’intimità del gioco si scambia, byte dopo byte, con l’efficienza degli algoritmi di profilazione.

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