Florida parte II – Ho scoperto il water-lavandino e il ‘Robert is here’. Lontano da Miami beach, parchi e impegno sociale
- Postato il 26 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La prima parte del reportage dedicato al mio ritorno in Florida – a Miami, in particolare – si chiudeva con una domanda: è possibile in uno Stato e in una città tra i più ricchi e capitalistici d’America cercare indirizzi che possano offrire al turista esperienze legate alla sostenibilità, al naturalismo e persino all’impegno sociale? La risposta è sì, ma attenzione: sarebbe inutile, oltreché fuorviante, pensare che gli spunti alternativi che sto per darvi siano rappresentativi in toto di questa destinazione. Il bello dell’America, però, è proprio questo: anche nei luoghi più patinati e appariscenti esistono sempre angoli dove fioriscono visioni diverse. Basta sapere dove guardare – e avere voglia di farlo.
A proposito di visioni diverse. Prima di proseguire devo assolutamente fare un cenno al water-lavandino presente nella mia stanza del The Palms Hotel & Spa. Di cose bizzarre in America se ne vedono sempre parecchie, ma questo oggetto mi ha steso. Come potete vedere dalle immagini non si tratta né di un water tradizionale né di uno di quegli strambi, antigienici water-bidet, ma di un water con mini-lavandino incorporato. Mi sono interrogato sul senso di quello che ho ribattezzato il “Laver” per un’ora abbondante: perché, mi chiedevo, replicare il lavandino vero e proprio, presente nella stanza accanto? Ho quindi postato la foto su Facebook e una serie di commenti ha chiarito l’arcano: trattasi di un water salva-spazio e salva-acqua – l’acqua impiegata per lavarsi le mani dopo l’utilizzo confluisce nello scarico – molto usato in Giappone. Ritrovarselo in un bagno d’hotel di Miami Beach, accanto a una vasca da bagno grande come un monolocale, è stata un’esperienza formativa e interessante.
Ora basta cincischiare, veniamo a noi. In questi giorni, se seguite i tg, avrete sentito parlare delle Everglades. Prima di visitarle in questo viaggio non sapevo neanche cosa fossero; negli ultimi giorni in Italia sono un po’ sulla bocca di tutti, a causa del carcere Alligator Alcatraz in cui sono stati rinchiusi anche due italiani. Tranquilli: se siete turisti rispettosi non dovrete preoccuparvi di finire dietro le sbarre ma solo di portare con voi una scorta di spray anti-puntura. Sì perché le Everglades – una vastissima area subtropicale ad ovest di Miami – sono formate da paludi popolate da mosquito ma anche da alligatori, coccodrilli e pantere della Florida.
Alcune zone sono attraversabili a piedi, guidati da ranger esperti. Così, dopo una visita all’Ernest F. Coe Visitor Center, si viene bardati di tutto punto pronti per una sguazzata sotto scenografiche cupole naturali di cipressi acquatici che torreggiano su labirinti di mangrovie e praterie di sawgrass. La bellezza selvaggia di questo luogo – il terzo parco nazionale più grande degli Stati Uniti continentali, dopo Yellowstone e Death Valley – è impareggiabile: basta solo, come dicevo prima, volerla e saperla accogliere.
Di ritorno in città mi sono fermato a South Dade, da Robert Is Here, seguendo il consiglio di un amico. Questo grande negozio all’aperto di frutta tropicale prende il nome da Robert Moehling, il fondatore. La storia narra che a sei anni Robert venne messo dal padre agricoltore a vendere cetrioli all’angolo di una strada. Poiché nessuno si fermava, il genitore piantò accanto al banchetto del figlio dei cartelli con su scritto “Robert is Here”: tutti i cetrioli furono venduti. Da allora, nell’arco di cinquant’anni, Mr. Moehling Junior è diventato un’istituzione nel sud della Florida: dà lavoro a decine di persone, tra cui i figli, che ogni giorno contribuiscono a rinfrescare residenti e turisti con milkshake ghiacciati e a vendere mango, papaye e guanábana, un frutto dalla polpa bianca e morbida come cotone. Tra le corsie troneggiano le foto di famiglia con il capostipite nel centro: America at its best.
Il giorno successivo mi sono svegliato con calma nel 1 Hotel South Beach, un eco-resort affacciato sull’oceano, edificato con materiali locali recuperati tra cui pietra corallina regionale e legno “beetle kill pine” proveniente da alberi infestati del Nord America. Poiché però Miami Beach è davvero troppo nota agli italiani e l’obiettivo di questo mio viaggio è di cercare qualche indirizzo nuovo, mi sono diretto al Biscayne National Park. In questo grande parco pubblico a nord di Miami si possono svolgere tante attività – sia da soli che in famiglia – tra cui snorkeling, immersioni, pesca sportiva, gite in barca e in kayak tra le mangrovie, birdwatching lungo sentieri panoramici, campeggio e picnic. Nel Bill Baggs Cape Florida State Park, poco distante, ho affrontato (l’umidità è pazzesca in Florida, se ancora non si fosse capito) i 109 scalini che conducono sul Cape Florida Lighthouse. Dalla sommità del faro si ammira una Florida primordiale e moderna allo stesso tempo – con il mare aperto da un lato e downtown sul fondo dall’altro.
Vi ricordate quando, in apertura, vi parlavo di impegno sociale? I volontari di Friends of Cape Florida organizzano regolarmente giornate di volontariato durante le quali i partecipanti aiutano a rimuovere microplastiche e rifiuti da isole, spiagge e mangrovie del Biscayne National Park. Se amate gli animali, ricordate anche di fare un salto nella sede, poco distante, del The Humane Society of Greater Miami, una delle principali organizzazioni no profit dedicate al benessere di cani e gatti nella contea di Miami Dade. Se, come me, non potete adottare, contribuite in altro modo, aiutando i volontari a portare fuori i cani per le loro passeggiate quotidiane.
Avevo chiuso la prima parte di questo reportage parlando della dinamica scena food di Miami. Vi lascio altri indirizzi, che ho scelto e testato dopo un’accurata ricerca tra ristoranti a Miami e dintorni che servono menu basati su prodotti freschi, un’eccezione negli States: Novecento (sede di Key Biscayne), ristorante plastic free che serve cibo argentino di qualità; Pubbelly Sushi (nello shopping center Aventura Mall), dove gustare la cucina raffinata dello chef José Mendìn in un ambiente casual; Love, Live Café (Wynwood), piccolo tempio per gli amanti del cibo vegan (da provare assolutamente: la pizza sushi).
Non si può dire di aver visitato Miami senza aver fatto un giro nel Wynwood Art District, una delle esposizioni d’arte urbana all’aperto più grandi e riconosciute al mondo. Quando ci andrete, non limitatevi a osservare i meravigliosi graffiti realizzati dai writers più talentuosi degli States ma chiedete ai ragazzi di Wynwood Buggies di organizzarvi un tour in cui imparerete anche ad apporre qualche vostro tag sui muri. Ricordate, però: mai coprire i graffiti realizzati da altri. Il writing, pur essendo illegale, ha le sue regole etiche interne; chi le infrange, si mette contro l’intera comunità. Insomma, a Wynwood si può anche lasciare il segno ma solo se lo si fa con rispetto e… una bomboletta alla volta!
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