Di Pepe Mujica mi resta il messaggio legato alla qualità del tempo
- Postato il 14 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Alla mia domanda se ci fosse qualche cosa che si pentiva di non aver fatto, Pepe Mujica prima di rispondere ci aveva pensato un po’ e poi: “Avrei dovuto fare di più per i poveri”. Partecipavo a un incontro organizzato dall’Università di Ferrara, Mujica era appena stato insignito di una serie di onorificenze da Favale di Malvaro, il paesino del Genovese da cui originava la sua famiglia. La sua visita in Italia non aveva avuto una grande eco sui media, forse perché non era più il presidente dell’Uruguay, ma soprattutto perché Pepe girava l’Italia con i mezzi pubblici e rifiutava i trattamenti speciali.
Dei suoi trascorsi di rivoluzionario militante, della sua prigionia, delle torture subite anche da sua moglie Lucia Topolansky durante la dittatura militare nel suo Paese, delle sue scelte di continuare ad abitare nella sua casa privata e di donare la residenza presidenziale a uso di chi non aveva una casa, assieme a una parte consistente del suo appannaggio, del suo girare con un vecchio maggiolone (messo all’asta in beneficenza), dell’aver legalizzato l’aborto nel suo paese e regolarizzato la vendita della cannabis, legalizzato i matrimoni omosessuali, credo abbiano parlato tutti.
In questi giorni il paragone più immediato viene forse con Papa Francesco. In realtà qualche similitudine e collegamento c’è a partire dalle scelte abitative, dall’auto (una Panda e un maggiolone), dalla provenienza (l’Uruguay confina con l’Argentina) e dalle origini italiane, ma al di là dei simboli e della naturale empatia che queste due personalità esprimevano non credo si possa andare.
Se proprio dovessi cercare una somiglianza avvicinerei rispettosamente Pepe Mujica a Giuseppe Garibaldi, non certo per le origini liguri che li accostano, ma per i loro trascorsi rivoluzionari, per la loro capacità di rinunciare al potere quando avrebbero potuto esercitarlo, e soprattutto per la loro fine priva di tanti clamori e agi.
Di tutto però mi resta il ricordo di un uomo che non ha mai dimenticato i danni che il capitalismo ha prodotto nell’economia mondiale e del suo Paese, ma soprattutto nella testa dei giovani, spinti al consumo, al consumismo, e quel suo messaggio legato al Tempo. Uno degli aspetti su cui ha sempre insistito di più è quello della qualità del tempo che trascorriamo, che si rivela il bene più prezioso e che spesso è dilapidato in attività inutili e dannose: “Stiamo perdendo la battaglia contro il consumo inutile e la banalizzazione della vita”, affermava. “Se potessi scegliere qualcosa da lasciare alle nuove generazioni sarebbe questo: la capacità di destinare più tempo alla vita vera”. In effetti rallentare per vivere meglio è un gesto rivoluzionario!
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