Da Kampala a New York: la storia africana dietro il primo sindaco musulmano della Grande Mela

  • Postato il 5 novembre 2025
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Allora, è successo davvero. New York ha un sindaco di 34 anni, musulmano, afrodiscendente nato a Kampala, con la doppia nazionalità (ugandese e americana) che si è trasferito nella Grande Mela quando aveva 7 anni per diventare oggi il più giovane sindaco, in oltre un secolo, a guidare la città più grande d’America.

Zohran Mamdani nei mesi scorsi sui suoi social ha fatto il pieno di like e condivisioni, soprattutto tra i giovani della Gen Z e i Millennials. Ha ammesso di fumare marijuana, rappa, ha conosciuto sua moglie sull’app per incontri Hinge, ha organizzato proteste pro-Palestina, corre alla maratona di New York, e vuole i mezzi di trasporto pubblici gratuiti, case abbordabili per tutti e tasse più alte per i miliardari.

Ma questa non è solo una storia americana. È una storia anche africana, intrecciata con l’Uganda, il Sudafrica, la lotta anticoloniale. Il padre di Zohran Mahmood Mamdani è professore alla Columbia University, ma ha insegnato per molti anni alla Makerere University in Uganda, e i suoi scritti accademici sono influenti nel campo degli studi postcoloniali. La madre è la regista Mira Nair, nata a Rourkela, India, una film maker che ha dedicato la sua carriera alle tematiche di migrazione, identità e intersecazioni culturali. Oggi la famiglia Mamdani divide il tempo tra Stati Uniti, India e Uganda, dove possiede una casa su una collina in una zona benestante di Kampala. A luglio 2025, la famiglia si riunì proprio lì per la festa dopo il matrimonio di Zohran, sottolineando così una volta di più le sue radici ugandesi.

C’è un altro pezzo della storia africana di Zohran che pochi conoscono. Mamdani ha frequentato la St George’s Grammar School a Mowbray, Cape Town, dove la sua famiglia si era trasferita quando era bambino. Ha quindi vissuto anche in Sudafrica durante gli anni cruciali della transizione post-apartheid, crescendo in un paese che stava ancora elaborando la sua eredità coloniale e razziale.

Il suo è anche il racconto di una “diaspora che ce l’ha fatta”: la storia di un ragazzo cresciuto tra tre continenti, formato da un padre che ha dedicato la vita a decostruire il colonialismo africano e da una madre che ha trasformato l’Uganda in una seconda casa creando un laboratorio cinematografico per giovani africani.

Se questo giovane sindaco di New York afrodiscendente riuscirà davvero a superare la violenza dello tsunami che lo aspetta e l’odio viscerale del cowboy della Casa Bianca, per i giovani africani disillusi dai sistemi politici potrebbe diventare un esempio. Un passo alla volta. Una città alla volta.

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Il Fatto Quotidiano

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