Così Trump ridefinirà la strategia nucleare Usa. Scrive il gen. Jean

  • Postato il 24 novembre 2024
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Durante la campagna presidenziale, il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, non ha parlato né di strategia né di armi nucleari, sebbene esse restino centrali, come lo furono nel suo primo mandato per la sicurezza degli Stati Uniti e delle loro alleanze europee e asiatiche. Ne ha solo implicitamente parlato, affermando di volere l’America Great Again anche militarmente, per realizzare una politica di “Peace through strength”, cioè di “Peace through threat”.

Per prevedere quali saranno le sue decisioni nello specifico settore, occorre rifarsi alle numerose scelte fatte nel suo primo mandato, malgrado che la situazione sia molto diversa da quella del 2016. Trump non ha infatti commentato le minacce di Mosca di ricorso al nucleare e di colpire i Paesi Nato che hanno fornito a Kyiv armi a lunga gittata, autorizzandone l’impiego anche sul territorio russo.

Al riguardo, due considerazioni mi sembrano interessanti. Primo: la decisione di Joe Biden è stata verosimilmente concordata nel suo incontro con Trump alla Casa Bianca. Secondo: sia Biden sia Trump non hanno mai preso sul serio le minacce russe di ricorso al nucleare. Ciò ha stupito – e forse frustrato – il Cremlino, abituato a veder prese sul serio le sue minacce. Anche se indebolita rispetto alla Guerra Fredda, la dissuasione nucleare – basata sulla distruzione reciproca assicurata e l’incertezza di poter limitare uno scontro nucleare al solo livello tattico – continua a essere valida. Gli Stati Uniti continuano a ritenere un “bluff propagandistico” le ripetute minacce nucleari del Cremlino. Tutt’al più pensano che sia possibile un’azione dimostrativa nucleare russa, per esempio, uno scoppio di bassa potenza ad altissima quota sull’Ucraina, che potrebbe provocare panico in Occidente, ma anche dure reazioni da parte cinese.

Le spesso eccitate discussioni sulla strategia nucleare dichiaratoria russa non hanno significato reale. Tutte le sue versioni sono identiche alla “strategia della risposta graduata o flessibile” adottata dalla Nato nella Guerra Fredda e tuttora in vigore. Quella russa corrisponde alla logica “escalate to de-escalate”. È basata sull’assunto di poter limitare uno scontro nucleare. È un rischio inaccettabile poiché in Ucraina non è in gioco la sopravvivenza della Russia, anche se lo è forse quella di Putin. Per quanto fedele al “padrone del Cremlino” non credo che la dirigenza russa identifichi le due. Che rischi cioè un conflitto mondiale e la distruzione della Russia per qualche pezzo d’Ucraina.

L’imprevedibilità caratteriale di Trump rende improbabile la continuazione dei “bluff” nucleari russi. Infatti, rafforza la deterrenza americana. Biden l’aveva erosa con la sua cautela strategica. Quindi, con Trump è aumentata la possibilità di un compromesso per sospendere in qualche modo il conflitto.

Seguendo l’irrealistica visione propagandata da Barack Obama di un mondo senza armi nucleari (che gli aveva fatto guadagnare il Premio Nobel per la Pace pochi mesi prima che approvasse un programma di 1.300 miliardi di dollari per l’ammodernamento dell’arsenale nucleare americano!), Biden aveva marginalizzato il ruolo delle armi nucleari nel sistema di sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati. Le armi nucleari erano sparite dai dibattiti strategici. Il centinaio di testate sub-strategiche rimaste in Europa avevano solo la funzione di coupling con il deterrente centrale strategico americano. Rimangono importanti per la dissuasione estesa, che Trump considera con grande scetticismo, tanto da aver posto in dubbio la continuità dell’impegno americano nella Nato.

Il dibattito sulle armi nucleari è tornato soprattutto per le minacce russe di farvi ricorso in Ucraina, ma anche per l’enorme riarmo nucleare cinese (da 500 a 1.500 testate entro il 2035), per l’acquisizione da parte della Corea del Nord di capacità intercontinentali, per i progressi nucleari dell’Iran e per lo sviluppo di nuove armi (convenzionali, antimissili, cibernetiche e spaziali), che riducono la stabilità della dissuasione nucleare, data prima per acquisita per sempre.

Taluni aggiungono a queste cause la fine dei grandi accordi sul controllo degli armamenti. A parer mio, la loro fine è una conseguenza non una causa del mutamento della situazione strategica. Il controllo degli armamenti è possibile quando non serve; diventa impossibile quando servirebbe. Trump non è mai stato convinto della sua importanza. Durante il primo mandato aveva lasciato scadere il New START (rinnovato poi da Biden fino al 2026), era uscito dal Trattato Inf, da quello Open Skies e del Jcpoa con l’Iran. Inoltre, aveva dato impulso sia alle difese antimissili sia all’ammodernamento dell’arsenale nucleare americano, aggiungendo ai programmi in corso una testata di ridotta potenza per missili balistici e un cruise nucleare sempre navale (questi ultimi due cancellati da Biden). Certamente Trump concorda – e verosimilmente potenzierà – la direttiva segreta di Biden del marzo 2024 sulla nuova strategia nucleare americana, che prevede la dissuasione contemporanea della Russia, Cina e Corea del Nord. Vi includerà anche l’Iran. Per mantenere la superiorità globale americana, attiverà parte delle circa 4.000 testate nucleari ora mantenute in riserva e ne costruirà nuove con l’uranio arricchito e il plutonio prodotti dai nuovi impianti già in avanzata costruzione. Non è escluso infine che Trump riprenda gli esperimenti nucleari di fatto sospesi da una quarantina di anni.

In sostanza, a differenza di Obama e di Biden, Trump giudica illogico limitare alla dissuasione il ruolo delle armi nucleari. Scettico non solo del controllo degli armamenti, ma anche delle alleanze basate sul nucleare americano, schiererà sui mezzi navali le sue nuove numerose armi nucleari tattiche, per sottrarle ai vincoli della “doppia chiave”. Tale decisione creerà problemi con gli alleati, specie in ambito Nato.

Autore
Formiche

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