La maschera nucleare di Putin spiegata da Secci

  • Postato il 24 novembre 2024
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Nell’arco di una settimana, si sono susseguiti degli eventi che hanno avuto un forte impatto sulla sicurezza euroatlantica e l’andamento del conflitto in Ucraina.

Domenica scorsa la Federazione Russa ha lanciato uno dei più massicci attacchi missilistici e con droni degli ultimi mesi. Obiettivo: le infrastrutture critiche ucraine, soprattutto quelle della rete elettrica nazionale.

Nella stessa giornata, la Casa Bianca ha annunciato l’autorizzazione all’impiego in profondità sul territorio russo dei missili terrestri Atacms (Army Tactical Missile System), spesso impropriamente definiti “a lungo raggio” pur trattandosi di Srbm, ossia missili balistici “a corto raggio” (Short Range Ballistic Missiles).

L’amministrazione americana ha affermato che la decisione è stata presa in risposta al coinvolgimento delle truppe della Corea del Nord nel conflitto russo-ucraino, con particolare riguardo al fronte di Kursk. È ragionevole pensare che l’iniziativa di Washington sia stata resa necessaria anche per controbilanciare l’innalzamento del livello di scontro voluto dal Cremlino (di cui l’attacco di domenica scorsa ne è un segnale) e frenare, quanto più possibile, l’avanzata russa nel Donbass.

In prospettiva ci sono le trattative che dovrebbero portare – quantomeno – alla fine delle ostilità, appuntamento al quale Mosca vorrebbe presentarsi nelle migliori condizioni possibili, ossia col massimo delle conquiste territoriali e senza alcun territorio della Federazione Russa in mani ucraine, che Kyiv potrebbe barattare in sede di ulteriori futuri negoziati.

Autorizzazioni simili sembrerebbero essere state concesse anche dalla Francia e dal Regno Unito per l’impiego dei missili da crociera aviolanciati Scalp/Storm Shadow.

A seguito di un presunto primo impiego di questi missili nei pressi della città russa di Bryansk, è arrivata la contromossa russa, tenuta in sospeso per settimane e artatamente perfezionata per l’occasione: il cambiamento della dottrina di impiego delle armi nucleari. L’annuncio di un aggiornamento della stessa risale al 25 settembre scorso, quando, in una riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale, il presidente russo presentò il nuovo testo del documento noto come “Basic Principles of State Policy of the Russian Federation on Nuclear Deterrence”. Per essere in vigore, però, la nuova dottrina necessitava ancora dell’autorizzazione presidenziale, rilasciata, non a caso, mediante decreto, subito dopo le autorizzazioni concesse a Kyiv e l’attacco ucraino su Bryansk.

Infine, giovedì mattina, la Federazione Russa ha condotto un bombardamento missilistico sulla città ucraina di Dnipro. La particolarità del raid è data dall’impiego di un nuovo missile, sulle cui capacità e stadio di sviluppo permangono forti dubbi. Le immagini dell’attacco lasciano intendere che si sia trattato di un missile balistico a testata multipla e ipersonica. Inizialmente, esperti e analisti hanno chiamato in causa il dispositivo a medio raggio RS-26 Rubezh (codice Nato: SS-X-31). Ma, in serata, Putin è intervenuto sulla tv russa con un videomessaggio nel quale ha comunicato che l’arma in questione è un missile a medio raggio chiamato Oreshnik, e che l’impiego sulla città di Dnipro è avvenuto nell’ambito di un test del dispositivo stesso.

Ciò fa sorgere dubbi sull’autenticità delle parole del Presidente russo: per quale ragione un missile sperimentale dovrebbe essere impiegato in un contesto operativo di guerra, ben sapendo, come dimostrato da successivi video circolati in rete, che i detriti e resti dello stesso verrebbero presi e studiati in processi di reverse engineering per conoscerne meglio le potenzialità e progettare i sistemi atti a intercettarlo? Non ha alcun senso mettere nelle mani di Paesi che Mosca considera ostili tecnologie sensibili relative ad armamenti di cui, sino a qualche giorno fa, nessuno era a conoscenza.

Nello stesso videomessaggio Putin ha affermato che, nell’ambito della più ampia campagna missilistica in Ucraina, le prove del missile proseguiranno, lasciando intendere che la fase di ricerca e sviluppo non fosse conclusa.

Senonché il giorno dopo, venerdì 22 novembre, in occasione di un incontro avuto con alcuni rappresentati del Ministero della Difesa e delle industrie belliche russe, il Capo del Cremlino ha annunciato la decisione di mettere in produzione il nuovo missile. Come è possibile pensare di produrre dei dispositivi che sono ancora in fase di sperimentazione?

Nelle parole e iniziative del Presidente russo si riscontrano elementi di inganno e ambiguità finalizzati, presumibilmente, a complicare una corretta interpretazione e valutazione della postura strategica di Mosca.

Una spiegazione degli avvenimenti di questi giorni potrebbe essere quella per cui, in un frangente dove le Forze Armate russe avanzano nel Donetsk e pressano sull’avamposto ucraino nel Kursk, Putin stia cercando di prolungare il momentum più favorevole dall’inizio dell’invasione, infestando Europa e Stati Uniti con gli spettri dell’Apocalisse atomica. L’abbassamento della soglia di impiego delle armi nucleari, le immagini delle testate ipersoniche che, come fasci di luce infernale, squarciano il cielo di Dnipro, le esplicite minacce di attacchi ai Paesi che hanno autorizzato l’impiego dei missili in profondità sul territorio della Federazione Russa, sono tutti elementi funzionali a questa strategia.

Tornando all’attacco su Dnipro, per lanciare un segnale più forte rispetto a quelli già espressi in passato, il Presidente russo potrebbe semplicemente aver impiegato il prototipo di un missile balistico a medio raggio (di cui, verosimilmente, ne ha interrotto lo sviluppo), riciclato, per l’occasione, come vettore per amplificare la portata mediatica delle sue dichiarazioni. L’obiettivo è sempre quello di frenare il sostegno politico e militare a Kyiv, ancor più in un momento di difficoltà delle truppe ucraine e di transizione alla Casa Bianca.

E riprendendo il testo della nuova dottrina nucleare russa, nella fattispecie riconducibile all’impiego in profondità dei missili Atacms e Scalp/Storm Shadow, appare opportuno ricordare che nessuno di questi sistemi è capace di determinare una “minaccia critica alla sovranità o integrità territoriale della Russia”. Si tratta di dispositivi armati di testate convenzionali, idonei a colpire con estrema precisione aree ben circoscritte senza causare, di conseguenza, danni e distruzioni di più ampie proporzioni (come potrebbero fare, invece, le atomiche).

Sovranità e integrità territoriale della Federazione Russa restano garantite: i loro obiettivi potrebbero essere aeroporti, depositi di munizioni, centri logistici e di comando dai quali vengono alimentati e diretti gli attacchi nelle zone di combattimento. Si tratterebbe, pertanto, di bersagli la cui distruzione mira a rallentare l’offensiva russa sul fronte. In una guerra dove – è sempre bene ricordarlo – l’Ucraina è la parte aggredita, attacchi finalizzati a ridurre la spinta aggressiva di cui è vittima sono del tutto legittimi.

Quanto alla pretesa giuridica, espressa da Putin, in base alla quale rivendica il diritto di colpire i Paesi che hanno consegnato i missili Atacms e Scalp/Storm Shadow nel caso Kyiv li impieghi in profondità, poiché, per l’impiego degli stessi, è necessaria l’assistenza tecnica dei Paesi fornitori, qualora fosse anche vero, il fatto non rappresenta alcun elemento di novità: l’Ucraina beneficia di supporto tecnico-informativo occidentale sin dalle prime fasi del conflitto. Non vi è pertanto alcuna forma di escalation della Nato tale da giustificare, da parte russa, un’estensione degli obiettivi oltre l’Ucraina.

Kyiv beneficia di un appoggio indiretto da parte dei Paesi occidentali: lo stesso non si può dire di Mosca, supportata in maniera diretta, sul campo di battaglia, dalle truppe della Corea del Nord. In tal senso, se c’è stata una forma di escalation, questa è da attribuire alla Russia e non certamente all’Ucraina.

Superato lo shock delle immagini provenienti da Dnipro che, associate al videomessaggio di Putin, sono apparse come un tentativo maldestro per dissuadere l’Occidente dal mantenere il sostegno a Kyiv, sarebbe opportuno che i Paesi della Nato rispondano alle minacce di Mosca combinando l’appoggio all’Ucraina – che non deve essere compromesso o messo in discussione – a misure atte a segnalare la risolutezza e compattezza dell’Alleanza sul piano della deterrenza (la Federazione Russa resta pur sempre un Paese con un arsenale che conta più di 4.000 atomiche, 12 sottomarini strategici, una settantina di bombardieri a lungo raggio e oltre 300 missili balistici intercontinentali a testata nucleare). In tal senso, un primo segnale è stato dato da Washington con la notizia, diramata subito dopo l’attacco su Dnipro, di un aggiornamento della dottrina strategica americana che, tra le altre cose, ha previsto lo sviluppo e messa in produzione dell’ultima variante della bomba a caduta gravitazionale con testata atomica B61, nota come B61 Mod. 13, e l’innalzamento del livello di allerta dei sottomarini strategici della classe Ohio.

Anche i Paesi europei della Nato potrebbero dare segnali dello stesso tipo. Anzi, poiché l’Oreshnik è un missile a medio raggio, della stessa classe degli SS-20 che terrorizzarono l’Europa negli anni ’70 e ’80 (cosiddetta “Crisi degli euromissili”), la risposta, in termini di dissuasione, dovrebbe essere data soprattutto dal Vecchio Continente. Un’estensione della partecipazione alle esercitazioni delle forze nucleari di Francia e Regno Unito ai Paesi europei non dotati di armamenti atomici, potrebbe rappresentare un forte segnale di coesione strategica e deterrenza europea.

Così come lo sviluppo di iniziative come quella denominata Elsa (European Long Strike Approach), che vede la collaborazione tra Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Polonia e Svezia per la progettazione di un missile da crociera terrestre con gittata compresa tra 1.000 e 2.000 chilometri, e di nuovi programmi di difesa missilistica e spaziale, ridurrebbero sensibilmente le ambizioni coercitive di Mosca.

Se, con il lancio del missile Oreshnik, il Cremlino pensava di condizionare le scelte di sicurezza della Nato  in Europa, potrebbe invece ritrovarsi a gestire, in un futuro prossimo, uno scenario strategico più complesso di quello attuale, con una rafforzata integrazione tra le forze strategiche e convenzionali europee, e un’Alleanza Atlantica dotata di un maggior numero di dispositivi con i quali rispondere, tanto in termini di difesa quanto di rappresaglia, ai lanci dei suoi missili da attacco e da… riciclo.

Autore
Formiche

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