Con la morte di Pepe Mujica finisce un’epoca: testimone e protagonista, ha incarnato un ideale

  • Postato il 14 maggio 2025
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Il 13 maggio 2025 si è spento a Montevideo José “Pepe” Mujica, a pochi giorni dal compiere novant’anni. Affetto da un tumore all’esofago, non aveva esitato ad annunciare pubblicamente e con la consueta franchezza la propria condizione, dicendo: “Sto morendo. È l’unico modo in cui me ne andrò”. Parole dure, essenziali, eppure profondamente coerenti con il linguaggio della sua intera vita. Con la sua morte si chiude un capitolo significativo della storia politica dell’America Latina, una pagina in cui Mujica non ha solo interpretato il ruolo di leader, ma ha incarnato un ideale vivente di coerenza morale, umanità profonda e radicale semplicità.

Le sue condizioni di salute, già compromesse da tempo, erano state rese note nei giorni scorsi dallo stesso presidente dell’Uruguay Yamandú Orsi, suo erede politico e figura emergente della nuova sinistra latinoamericana. Orsi aveva condiviso con discrezione e dolore la gravità del quadro clinico, confermando ciò che molti temevano e che, in passato, era stato oggetto di false notizie. Questa volta, però, non si trattava di una fake news. Mujica si è spento nella sua casa rurale, nel silenzio della campagna che tanto amava, circondato dai suoi affetti più intimi, nello stesso luogo in cui aveva scelto di vivere per decenni, lontano dai privilegi e dalle liturgie del potere.

Nato a Montevideo il 20 maggio 1935, Mujica è stato testimone e protagonista di gran parte del Novecento latinoamericano e dei primi decenni del nuovo secolo. Già militante nei Tupamaros, gruppo guerrigliero di ispirazione marxista-leninista, fu arrestato e imprigionato per oltre tredici anni durante la lunga notte della dittatura civico-militare che ha segnato l’Uruguay tra il 1973 e il 1985. Durante la detenzione, subì torture e fu tenuto per lunghi periodi in isolamento in celle sotterranee, ma sopravvisse sviluppando un pensiero lucido e profondo che lui stesso avrebbe definito, con ironia e gravitas, una “scuola di filosofia esistenziale”.

Con il ritorno alla democrazia, Mujica non scelse il risentimento, bensì l’impegno istituzionale. Entrò in politica con il Frente Amplio, fu ministro dell’Agricoltura e infine presidente della Repubblica dal 2010 al 2015. Il suo mandato fu segnato da una serie di riforme radicali che fecero dell’Uruguay un laboratorio mondiale di progressismo sociale: legalizzò la produzione e la vendita della marijuana, regolamentò l’aborto e riconobbe il matrimonio egualitario. Ma se il mondo lo conobbe per queste misure, fu la sua vita personale a renderlo unico: Mujica era l’uomo che viveva come parlava.

Famoso con l’appellativo di “presidente più povero del mondo”, destinava il 90% del suo stipendio a progetti sociali e continuava a vivere in una modesta fattoria nei sobborghi di Montevideo con la moglie Lucía Topolansky, anch’ella ex guerrigliera e figura politica centrale del paese. Con loro viveva Manuela, una cagnolina con tre zampe, divenuta nel tempo emblema silenzioso di una presidenza autentica, priva di orpelli e ostentazioni. “Amo molto gli animali… più conosco le persone”, dichiarò una volta Mujica. Quando Manuela morì, nel 2018, fu lui stesso a seppellirla nel terreno della sua abitazione, accanto al luogo dove desiderava riposare anche lui.

Il suo stile essenziale, la capacità di usare le parole con affetto e rigore, e la sua distanza dal populismo e dalla demagogia, lo hanno reso un riferimento morale ben oltre i confini dell’Uruguay. Lo scrittore e giornalista argentino Martín Caparrós ha scritto che Mujica ha vissuto almeno quattro vite: guerrigliero, ostaggio, presidente e filosofo. In un mondo politico sempre più dominato dall’apparenza, lui continuava a proporre con fermezza una radicale etica della coerenza e del bene. Invitava a non cedere al cinismo, ricordando che “essere buoni forse non serve a molto, ma serve a non doversi pentire quando ci guardiamo allo specchio”.

La sua morte, avvenuta pochi giorni dopo quella di Papa Francesco, segna forse simbolicamente la chiusura di una stagione storica, quella di una generazione di leader capaci di parlare al mondo con profondità etica e linguaggio disarmante. Mujica lascia in eredità una sfida alta e impegnativa: vivere la politica come servizio, incarnare con umiltà ciò che si proclama, unire pensiero, parola e azione. Ora tocca a noi decidere se vogliamo seguire quel sentiero.

Si dice: vedere per credere e con la vita di Pepe Mujica, abbiamo visto.

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Il Fatto Quotidiano

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