Come diventare esseri selvatici (e perché tutti ne abbiamo diritto)
- Postato il 22 aprile 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Imparare dal sentire e dall’azione, arrivando solo dopo alla riflessione e al pensiero. Imparare attraverso il corpo, che sviluppa una competenza che poi resta per sempre e che nessuno ti può togliere. Questo è il senso del “metodo” raccontato nel libro “Outdoor education, pedagogia della selva e del selvatico” (Terra Nuova) dell’insegnante Raffaella Cataldo, esperta in pedagogia non direttiva e didattica esperienziale. “L’apprendimento”, scrive l’autrice, “è l’attività umana che ha meno bisogno di manipolazioni esterne”. L’apprendimento esperienziale e l’outdoor education rendono la scuola elastica al servizio della fisiologia, senza costringere i corpi all’immobilità.
Alcuni esempi: si esplorano culture e paesi diversi attraverso cacce al tesoro in mezzo alla città, interagendo con gli abitanti. Si studia storia visitando siti archeologici senza saperne nulla, facendo ipotesi. Si scopre la letteratura romantica cercando luoghi ameni tra boschi, ruscelli e cascate.
Cambiare anche le menti degli adulti – Ma il cambio di prospettiva dovrebbe riguardare non solo gli studenti ma anche gli adulti, con l’intento specifico di stimolare gradualmente un cambio di paradigma negli schemi ereditati da generazione “e consegnare ai bambini, figli o allievi, adulti capaci di non disturbare lo svolgersi naturale dell’apprendimento”. Il concetto chiave è quello della consapevolezza della selva o della natura selvatica. È una consapevolezza a cui deve arrivare anzitutto chi si propone come mentore, e lo si apprende nel corpo, “nel cammino di trasformazione che riconduce a sentirsi natura”.
La consapevolezza della natura selvatica è una intelligenza selvatica e consiste nell’agire in profonda connessione con con la vita selvatica, tutto il contrario del concetto di sopravvivenza nella natura, intesa come qualcosa di ostile. È un percorso progressivo, tanto che all’inizio “andare in natura somiglia a sedute di fisioterapia per riprendere l’uso dei muscoli sensoriali atrofizzati”. Ci si spoglia dei bisogni non essenziali per “atterrare nei bisogni biologici in cui è necessario rispondere per essere vivi: respirare, bere, mangiare, dormire, calore, protezione”, tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. Di nuovo, non si tratta di imparare a sopravvivere in natura, ma scoprire che non possiamo sopravvivere senza la natura. Privi di obiettivi, tutto ciò che accade nel girovagare è frutto dell’interazione fra noi e tutti gli altri esseri selvatici.
Non disturbare: l’imperativo della pedagogia biocentrica – Nella pedagogia della Selva e del Selvatico, il focus non sono i bambini, ma l’incontro e la connessione tra umano e selvatico dentro, tra umano e selva fuori, indipendentemente dall’età perché tutti noi apparteniamo alla civiltà che separa dalla natura. La pedagogia della Selva è biocentrica e non antropocentrica e la sua essenza consiste nel “non disturbare” il paesaggio, la vita selvatica, l’incontro tra la persona e il luogo selvatico.
Nella nostra cultura la parola “selvaggia” è negativa, significa qualcosa di difficile da domare, inopportuna. La pedagogia della Selva procede in direzione contraria. In essa è impensabile mettere da parte il corpo, perché “incoraggia il libero accesso alle proprie percezioni, in modo pulito, senza alcun tipo di costrizione, credenza o interpretazione”. Il sentimento che ne scaturisce si manifesta in una ritrovata vitalità, nel maturarsi dell’empatia e della capacità di ascolto, nella maggiore presenza, nella volontà di custodire, in una mente più quieta e meno controllore, nel sentirsi comunità umana non separata, nell’umiltà di essere parte di qualcosa di più vasto.
Il diritto al Selvatico – Esiste dunque un vero e proprio “diritto al Selvatico”, con il quale l’autrice intende il diritto alla coerenza naturale, che è quella prevista dalla vita intatta e dalla logica che le è propria, connaturata al vivente. Il diritto a nascere, crescere, vivere e morire in modo coerente alla fisiologia della vita intatta, il diritto a non perdere lo stato di coscienza originario, ecologico, che è lo stato di coscienza partecipativo, ossia del sentirsi parte del tutto, uniti. Questo diritto al Selvatico è un diritto di nascita.
Ciascuno di noi, spiega Raffaella Cataldo, può incarnare attivamente questo processo, “assumendosi, come adulto, il compito di salvaguardare l’incontro fra la cultura dissociante e le forze vitali del bambino, il suo diritto a rimanere integro”. Ciascuno di noi può lasciarsi alle spalle l’adulto che rappresenta questa cul-tura, e diventare l’adulto che aiuta, custodisce, garantisce un incontro fra bambino e cultura che non vada a scapito dell’integrità selvatica del bambino.
Il “mentore” come facilitatore – Il “mentore” coltiva le passioni dei bambini e delle bambine, agendo a favore della libera espressione, abbandonando la repressione; avvalora la libera scelta invece che imporre, coltivando coerenza e connessione; preferisce la fiducia al controllo, e non disturbare invece che interferire. Non si concepisce come il fautore dei processi di apprendimento in natura, “bensì come facilitatore. Non nega la natura del bambino, si mette in linea con le sue passioni: le vede come predisposizioni esatte, puntuali, appropriate per incontrare la Selva e imparare da essa”. Se un bambino sente di non voler fare un gioco di gruppo, gli si riconosce la competenza di sentirlo e rimanere coerente al suo sentire. Se una bambina non sente così freddo da indossare la giacca, le si riconosce la competenza di sentire cosa è adatto a sé. Perché possano sedersi in natura, ovvero in se stessi, con naturalezza. Perché possano riconoscersi natura. Quindi vivere pienamente, intatti, interi.
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