C’è un filo che lega le piazze contro la politica e certe controverse nomine: l’abuso di potere

  • Postato il 5 ottobre 2025
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C’è un filo che lega il grido levatosi dalle cento piazze in sciopero contro il genocidio: “Meloni, Meloni, dimissioni!” e la causa intentata da un sobrio magistrato in pensione, Arturo Soprano, contro la nomina a presidente dell’Orecol di uno degli avvocati di Giorgia Meloni, Luca Libra: l’abuso di potere.

Ogni condotta che avvertiamo prima come moralmente ripugnante e poi eventualmente ritroviamo inquadrata in una fattispecie di reato come vero e proprio delitto ha a che fare con l’abuso di potere, ovvero con la prepotenza del più forte sul più debole.

Non stupisce che gli ordinamenti democratici fondati sul suffragio universale, tanto più se repubblicani e figli di Costituzioni nate dall’antifascismo, aborrano soprattutto l’abuso di potere: là dove l’abuso di potere, in qualunque forma perpetrato, venisse tollerato, ci sarebbe infatti il riconoscimento di una discriminazione sociale, cioè una offesa intollerabile al principio dell’uguaglianza in dignità e in libertà tra esseri umani.

I cortei delle piazze in sciopero pretendono una politica che ripristini questo principio e lo faccia valere ad ogni costo.

Insomma, non si può sentire un ministro degli Esteri come Tajani affermare candidamente che il diritto internazionale vale, ma fino ad un certo punto. E’ proprio cedendo a questa tentazione (“fino ad un certo punto”) che si sgretola la barriera contro l’abuso del prepotente. Che sia un leader politico che normalizza l’assassinio come strumento di risoluzione dei conflitti, che sia un ministro (un altro, ma della stessa tipologia) che ammette: “con la mafia si deve convivere”: la tentazione di rassegnarsi all’ordine del più forte è antica e dovremmo aver compreso una volta per tutte che produce soltanto orrore. Ma non è così.

In Piemonte capita che la destra a trazione meloniana nel giro di pochi mesi, per due volte e con sfacciata spudoratezza, abbia abusato del proprio potere imponendo a capo di organismi di garanzia, che come tali devono rappresentare un bilanciamento del potere che un certo pezzo di amministrazione pubblica esercita su soggetti più vulnerabili, persone platealmente vicine a chi quel potere gestisce (pro-tempore!). E’ successo con la nomina del nuovo presidente di ORECOL (Organismo Regionale di controllo collaborativo, che dovrebbe verificare la correttezza delle procedure di spesa pubblica dell’Ente), era successo con la nomina del nuovo garante regionale per le persone private della libertà personale, come dettagliatamente ricostruito nel pezzo di Andrea Giambartolomei.

Decidere quando l’abuso di potere diventi vero e proprio reato da codice penale e quando no, restando “soltanto” una condotta censurabile politicamente e moralmente, dipende dalla cultura prevalente in un certo momento storico. In questo momento storico è del tutto evidente che siamo andati oltre queste due opzioni vista la crescente simpatia con la quale si guarda all’abuso di potere come modalità efficace di risoluzione della complessità sociale: l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, l’annacquamento del reato di traffico di influenze, la liberalizzazione degli affidamenti diretti nella spesa pubblica (il 98% della spesa degli Enti Locali ormai va per affidamento diretto senza gara, ci ricorda l’ANAC), la irresponsabile catena nei sub-appalti, l’occupazione sistematica del servizio pubblico radio televisivo italiano, la mortificazione della indipendenza della magistratura, il “bavaglio” legale a parlamentari scomodi in Commissione Antimafia, la criminalizzazione del dissenso…

Sono tanti i segnali, tutti “fratelli minori” della guerra, come soluzione finale, come pulizie etnica, come forma di intimidazione politica nella gestione delle relazioni internazionali ed interne.

A questo progressivo scivolamento verso la più arcaica e brutale delle organizzazioni sociali generazioni di uomini e donne da dopo la seconda guerra mondiale si sono opposte con risultati altalenanti. Oggi siamo ad un bivio: la storia ci ha riportato sul crinale, da una parte la forza del diritto contro ogni prepotenza, dall’altro l’arbitrio del più forte come regola di convivenza.

Le forze antagoniste alle destre nazionaliste devono certamente denunciare tutto questo con intransigenza, ma devono con altrettanta severità essere capaci di coerenza al proprio interno, prendendo le distanze non soltanto dai famigerati “cacicchi”, ma anche dall’amichettismo scamosciato, che porta voti e non fa reato. La rendita prodotta da posizioni dominanti costruisce la società del privilegio, non quella delle pari opportunità e su questo non può che volerci una chiara discontinuità.

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Il Fatto Quotidiano

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