‘Weekend lungo’? La menzogna governativa sullo sciopero insulta due volte i lavoratori

di Paolo Gallo

Le parole di Giorgia Meloni e Matteo Salvini che riducono lo sciopero del venerdì a un mero espediente per prolungare il weekend sono un atto di mistificazione che rasenta l’oltraggio. È il solito copione: banalizzare, ridicolizzare, deformare un gesto politico, così da sottrargli la sua portata simbolica e la sua carica di denuncia. Parlare di “weekend lungo” significa cancellare deliberatamente la vera ragione della protesta: l’attacco alla Global Sumud Flotilla, un’aggressione che rappresenta un insulto al diritto internazionale, alla solidarietà e alla dignità umana.

La narrazione del “ponte” è una menzogna scientificamente costruita per delegittimare chi manifesta. È la strategia di un potere che teme le piazze, che teme la coscienza civile, che non tollera la minima incrinatura nella propria propaganda bellicista e servile. Questo governo sa perfettamente che lo sciopero non nasce da capricci o da desiderio di ozio, ma da un’urgenza etica e politica: rompere il silenzio, denunciare un’aggressione intollerabile, esprimere una solidarietà concreta a chi resiste contro la violenza e l’arbitrio.

Ed è ancora più ignobile parlare di “weekend lungo” quando milioni di italiani il fine settimana lavorano davvero, nei supermercati, negli ospedali, nei trasporti, nei call center, nella logistica, spesso con turni massacranti e sottopagati. Per loro non esistono ponti né vacanze: esiste solo la fatica, l’incertezza e la precarietà. Ecco perché la menzogna governativa è doppiamente insultante: perché nega tanto la ragione politica dello sciopero quanto la realtà sociale del lavoro contemporaneo.

Eppure Meloni e Salvini scelgono di insultare i lavoratori e i cittadini mobilitati, descrivendoli come opportunisti in cerca di vacanza. È un linguaggio di disprezzo, utile solo a seminare diffidenza e a soffocare la solidarietà. È un’operazione di manipolazione culturale che riduce ogni gesto di protesta a un atto di pigrizia, svuotando di senso l’unico strumento pacifico e democratico che resta a chi non ha né potere né voce nei palazzi.

La verità è che lo sciopero del venerdì è un grido di indignazione contro l’aggressione subita dalla Flotilla, non un diversivo da dopolavoro. È un gesto di rottura che rivela quanto profonda sia la distanza fra chi governa e chi non accetta di essere complice di crimini internazionali. Mentre il governo ironizza e insulta, uomini e donne scelgono di esporsi, di fermare la produzione, di sacrificare una giornata di salario per un principio più grande: la giustizia e la libertà.

Ridurre tutto ciò a un “weekend lungo” è un’oscenità morale, un atto di viltà politica. È la dimostrazione che questo esecutivo non solo ignora le ragioni di chi protesta, ma tenta deliberatamente di deformarle per annullarle. Così facendo, Meloni e Salvini non si limitano a colpire i lavoratori: colpiscono la stessa idea di coscienza civile, trasformano l’impegno politico in farsa, l’indignazione in pigrizia.

Chi sciopera non cerca vacanza, ma afferma resistenza. Chi interrompe il lavoro non fugge dal dovere, ma ne assume uno più alto, quello verso l’umanità violata. Il governo può irridere quanto vuole, ma non potrà cancellare il fatto che milioni di cittadini non intendono restare complici.

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