Al ‘paradosso del complotto perpetuo’ dei giudici contro la politica vedo solo una soluzione
- Postato il 11 marzo 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Leonardo Botta
Marco Travaglio lo chiamava il “paradosso del complotto perpetuo”: quello che evocano alcuni partiti ed esponenti politici (prevalentemente di destra) a proposito dell’ordine giudiziario.
I primi a complottare contro la politica sarebbero i pubblici ministeri. Pare che le Procure italiane passino il tempo a scovare politici da perseguitare, così, per non annoiarsi tra un solitario e un cruciverba. Questi pm sono dei veri geni: sanno che buona parte dell’opinione pubblica li ha sulle palle, tuttavia si ostinano a lavorare seguendo i dettami dell’obbligatorietà dell’azione penale che vige nel nostro ordinamento, mettendosi all’opera a ogni ipotesi di reato individuata nei confronti del potente di turno, che naturalmente scatenerà subito la rappresaglia mediatica. E quando un gip o un gup o un giudice di merito sconfessa le tesi accusatorie degli inquirenti, allora dalla politica si alza un grido di giubilo liberatorio: “Avete visto, è la prova del complotto della Procura! Fortuna che i giudici l’hanno sventato!”. E giù a rincarar la dose con il mantra della separazione delle carriere che (hai voglia di ricordare che è questione che tocca una quota assai marginale della magistratura) sembra ormai diventata la panacea dei mali della giustizia italiana, migliore della pietra filosofale e dell’elisir di lunga vita.
Incidentalmente, di tanto in tanto, capita che un procuratore, nel corso delle indagini, chieda il non luogo a procedere nei confronti di un indagato, ma il giudice impone l’imputazione coatta (sto buttando giù termini giuridici ad libitum, sperando che nessuno si accorga che di diritto non ci capisco niente): è il caso del rinvio a giudizio del sottosegretario Delmastro per rivelazione di notizie non divulgabili. Allora è prontamente servita la tesi difensiva di Delmastro: “Anche se vado a processo non mi dimetto, perché io sposo la versione del pm”. Ah, ecco: i pm prima brutti, sporchi e cattivi, ora diventano buoni come il pane, mentre nell’angolo sui ceci con il cappellino e le orecchie da asino ci va il gip. E in castigo ci devono andare, di volta in volta, tutte le componenti dell’ordine giudiziario: ora i giudici delle Sezioni immigrazione che dispongono il rientro dei migranti dall’Albania, poi quelli delle Corti d’Appello, buttati nella mischia con una sostituzione al volo (come se non avessero già i loro ca**i per la testa) ma che, sventuratamente, sentenziano allo stesso modo dei loro colleghi.
Naturalmente non mancano gli strali contro le misure cautelari disposte ai sensi del nostro C.P.P. per rischio di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione del reato; qui si registrano episodi davvero esilaranti, come il caso dell’ex governatore della Liguria Toti, che dagli arresti domiciliari gridava legittimamente ai quattro venti di essere vittima di un complotto e totalmente estraneo ai fatti a lui imputati. Salvo poi, una volta liberato dagli arresti, patteggiare una pena per corruzione!
Quindi tocca alla Corte Penale Internazionale, che si è presa la briga e di certo il gusto di bacchettare il nostro governo per la gestione della vicenda Almasri: ma come si permettono questi loschi figuri de L’Aia che certo “non sono la bocca della verità” (Tajani dixit)? E pazienza se le loro prerogative sono fissate dallo Statuto di Roma, che ora naturalmente non ci piace più…
Infine è il turno della Corte di Cassazione a sezioni riunite (mica il circolo di una bocciofila!), che sanziona il governo per l’illegittimo (lo dice la sentenza) prolungato fermo di migranti a bordo della Diciotti (una nave dello Stato italiano, mica un barchino di scafisti arabi o il natante di una Ong!).
Non so se sia già successo, ma prima o poi toccherà anche ai giudici della Corte Costituzionale essere etichettati come toghe rosse, metastasi della giustizia, etc. Per cui io di soluzioni ne vedo solo una, una bella riforma unica di Costituzione, Codice Civile e Penale: “Art. uno: I giudici hanno sempre ragione. Quando danno ragione ai politici”.
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