A Gaza il genocidio continua, altro che cessate il fuoco. Ma il mondo ha distolto di nuovo lo sguardo
- Postato il 5 dicembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Roberto Iannuzzi *
“Il cessate il fuoco rischia di creare la pericolosa illusione che la vita a Gaza stia tornando alla normalità. Ma […] il mondo non deve lasciarsi ingannare. Il genocidio israeliano non è finito”. A pronunciare queste parole è stata Agnès Callamard, già relatrice speciale dell’Onu, attualmente alla guida di Amnesty International.
Un parere analogo lo ha espresso lo storico israeliano Raz Segal, professore di studi sull’Olocausto e sui genocidi presso la Stockton University, nel New Jersey.
Segal ha affermato che i leader israeliani continuano a proferire dichiarazioni dall’intento chiaramente genocidario. Un rapporto dell’Unctad (United Nations Conference on Trade and Development) ha rilevato che Israele ha causato nella Striscia “il peggior collasso economico mai registrato”. Il Pil pro capite nell’enclave palestinese è crollato a 161 dollari l’anno, meno di 50 centesimi al giorno. Uno dei più bassi al mondo. Oltre il 92% degli edifici residenziali è stato distrutto e danneggiato.
Secondo Callamard, “le autorità israeliane perseverano nelle loro politiche spietate, limitando l’accesso agli aiuti umanitari vitali e ai servizi essenziali, e imponendo deliberatamente condizioni calcolate per distruggere fisicamente i palestinesi a Gaza”. Amnesty afferma che gli israeliani continuano a impedire la ricostruzione di infrastrutture essenziali per il sostegno alla vita.
Secondo l’Onu, dal 10 ottobre (data di inizio della tregua) al 1° dicembre sono effettivamente entrati nella Striscia poco più di 100 camion al giorno, invece dei 600 stipulati dall’accordo sul cessate il fuoco. Il cibo è insufficiente, e Israele non permette l’ingresso di tende e prefabbricati, di cui vi sarebbe urgente bisogno con l’arrivo delle piogge e della stagione fredda.
Oltre un milione e mezzo di palestinesi a Gaza vive nelle tende e in altri ricoveri di fortuna. Le ultime piogge torrenziali hanno distrutto più di 22.000 tende. Il sovraffollamento e l’esposizione ai liquami, a causa del sistema fognario distrutto, rendono ancor più grave la situazione. Come ha affermato l’ex ministro israeliano Yossi Beilin, non esiste in realtà un piano di pace perché non vi è accordo su quel piano.
Esso parla di uno stato palestinese a cui il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato di opporsi irrevocabilmente. Neanche sul disarmo di Hamas vi è accordo fra le parti. Al più vi è un cessate il fuoco, sostiene Beilin, che viene continuamente violato. Dal 10 ottobre, data di inizio della tregua, Israele ha ucciso almeno 360 palestinesi.
Pur affermando di volersi attenere al piano Trump, lo stato ebraico continua a compiere operazioni militari nella Striscia. Per anni Israele ha dichiarato di rispettare il processo di pace mentre imponeva “fatti sul terreno” che ne hanno determinato il fallimento. Il governo Netanyahu ha ora “importato” lo stesso modello a Gaza.
L’ingresso nella Striscia della forza internazionale di stabilizzazione prevista dal piano Trump rischia di incancrenire la crisi dell’enclave palestinese invece di alleviarla, supportando di fatto l’occupazione israeliana.
La quasi totalità della popolazione palestinese è ammassata in meno della metà della Striscia, quella controllata da Hamas. La parte occupata da Israele è spopolata. Nell’enclave palestinese vi è una partizione di fatto.
L’amministrazione Trump prevede la costruzione di “comunità alternative sicure” solo nella cosiddetta “zona verde” controllata da Israele, con l’obiettivo di attirarvi i palestinesi con la promessa di cibo, medicine e rifugi. Ma tali comunità rischiano di trasformarsi in campi di concentramento controllati da muri, telecamere di sorveglianza e avamposti militari israeliani. I palestinesi che vorranno accedervi potrebbero essere arrestati anche solo per aver lavorato nella pubblica amministrazione di Hamas, e coloro che vi saranno ammessi rischiano di non poterne uscire. La zona controllata da Hamas rimarrà invece senza ricostruzione ed esposta alle incursioni militari israeliane.
Alla gestione della Striscia divisa in due partecipa il cosiddetto Centro di Controllo Civile-Militare (Cccm) creato dagli Stati Uniti a Kiryat Gat, nel sud di Israele. Alla conduzione del centro contribuiscono 40 paesi ed almeno due compagnie statunitensi specializzate nella creazione di software e sistemi di sorveglianza basati sull’intelligenza artificiale (IA): Palantir e Dataminr. Palantir ha una stretta collaborazione con Israele, ed è accusata di complicità nei crimini di guerra commessi dalle forze israeliane a Gaza negli ultimi due anni.
La presenza di queste due compagnie all’interno del Cccm lascia intendere che il controllo israeliano su Gaza, ora in collaborazione con gli Usa, rimarrà ferreo ed incentrato su sistemi d’arma e di sorveglianza gestiti dall’IA. Tali sistemi sono in grado di controllare movimenti e comunicazioni della popolazione di Gaza, monitorando social, chat, contatti telefonici e internet.
L’enclave palestinese sembra tragicamente destinata a rimanere un distopico laboratorio di sperimentazione di queste tecnologie, in un labirinto spettrale di macerie e disperazione apparentemente senza uscita.
In questo inferno, l’agonia dovuta al mancato ingresso degli aiuti e all’impossibilità di ricostruire potrebbe in ogni momento sfociare in altri massacri determinati dalla ripresa delle operazioni militari israeliane. Ma sull’ininterrotta tragedia di Gaza è di nuovo caduto il silenzio. Il mondo sembra ancora una volta aver distolto lo sguardo.
*Autore del libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana” (2024).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/
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